Un uomo nella terra di nessuno

Militant A in un concerto alla Sapienza

 

“A San Lorenzo c’è una strada da percorrere dall’inizio alla fine per conoscere una storia che ha fatto parlare di sé in Italia e nel mondo. È via dei Volsci, parallela di via Tiburtina e via dei Sabelli, che attraversa San Lorenzo dai bastioni aureliani fino al Verano.
Partiamo dalle mura, costruite tra il 270 e il 275 d.C dall’imperatore Aureliano per difendere la capitale dell’impero dagli attacchi dei barbari […].
Su [un] tratto di [queste] mura fino alla fine degli anni ‘90 c’era […] una grande scritta: ‘Autonomia Operaia’, con la falce e il martello. Proprio a pochi passi, al civico 6 di via dei Volsci, dove ora c’è uno dei tanti pub del quartiere, tra il 1972 il 1974 nacquero i Comitati autonomi operai. La sede guadagnò una notevole visibilità a partire dal 1977 come luogo di ritrovo della galassia di collettivi dell’area di Autonomia Operaia. Da quell’anno ‘volsci’ divenne per i grandi giornali sinonimo di ‘autonomi’, parola che a sua volta finì per significare ‘violenti, mostri, provocatori, barbari’ da sbattere in prima pagina o in galera […].
Nel 1978 uscì la rivista ‘I Volsci’: nella testata erano riprodotti Obelix e Asterix, per ribaltare l’immaginario della propaganda e rivendicare l’identità di ‘barbari […] che continueranno a girare per le strade imperiali di Roma, rifiutando di chiudersi nei Circhi massimi e nei Colossei del sistema’.
I comitati autonomi romani si sciolgono nel 1994 (molto dopo la disgregazione di Autonomia Operaia a livello nazionale) e alcune sedi rimangono vuote fino al 1997, quando viene occupato il civico 32, stavolta per farne un centro sociale. Nasce Onda Rossa 32, che fin da subito si differenzia dalle sedi politiche degli anni ’70. Apre una trattoria popolare che diviene luogo di incontro tra il quartiere e i militanti di tutta la città. Durante il primo decennio del 2000 qui sono passati gli attivisti di mezzo mondo […].
AL 56, ci sono gli studi di Radio Onda Rossa, che trasmette dal 24 maggio 1977. L’emittente fu presto accusata di istigazione a delinquere e tra il ‘77 e l’80 molti redattori vennero denunciati, incarcerati, processati e infine assolti. Tra il ‘77 e il ‘78 subì diverse chiusure preventive, se pure temporanee, in occasione di manifestazioni di piazza. Il 13 ottobre 1982 un ordigno esplose davanti alla porta dell’appartamento della radio, provocando danni rilevanti all’interno dei suoi locali, in tutto il palazzo e in quelli circostanti. Nonostante attentati e repressione la programmazione continuerà a dare voce ai movimenti, traendone nuovi impulsi. Nel 1988 il collettivo degli studenti medi comincia a diffondere principalmente musica rap. Qualche anno dopo, proprio grazie alla loro trasmissione e al movimento studentesco della Pantera […] nascerà una delle prime ‘posse’ romane, che avrà il nome di Onda Rossa Posse. Dalla sua scissione deriverà uno dei gruppi hip hop più importanti nel panorama della musica ribelle italiana, gli Assalti Frontali di Militant A. Oggi la storica emittente dell’autonomia romana è ancora completamente autofinanziata e continua a trasmettere sugli 87.9 fm.” (1)

Una premessa, è vero, piuttosto lunga, per arrivare agli Assalti Frontali, il gruppo di cui voglio parlare, e al testo della loro canzone da me preferita. Ho citato questo brano perché mi premeva dare consistenza ad un ambiente, fisico, oltre che ideologico, che ora pare sparito nel nulla tra le fascinazioni dei giovani romani e italiani, ma che allora creava, viceversa, un diffuso senso di partecipazione,  nell’ambiente universitario e non solo. Io, che di fatto non partecipavo, mi trovavo però proprio per questo in un punto d’osservazione del tutto particolare. L’eccezione rappresentata dalla mia visuale era penosa e romantica nello stesso tempo. Per questo parlo oggi di Militant A e della sua musica. In effetti, gli Assalti Frontali sono stati il gruppo amato dei vent’anni. Passai infanzia e adolescenza sotto la colonna sonora del rock anni’70 e dei cantautori De Gregori e De André (il tutto sotto l’influsso dei miei fratelli maggiori) e del primo Venditti, il cantautore soprattutto dell’inno della Roma, quello vecchio, chiamato volgarmente Roma, Roma, Roma e ora famoso, ma che allora, sconosciuto al mondo, si limitava a fare da sottofondo alle emozioni calcistiche dei romani e romanisti (e io sono stata una bambina calciofila). Al liceo, in classe, i compagni mi parlavano dei CCCP. E ancora, respiravo un’atmosfera fatta di vecchie canzoni popolari che a Roma tutti conoscevamo, ma soprattutto satura della musica cosiddetta classica che mio padre ascoltava svariate ore al giorno dal suo enorme stereo. Dopo tutto questo, io, scoprendo l’impegno politico, dai margini della mia vita di ventenne non ovvia e mossa da passioni, scoprivo le posse, il rap politico e soprattutto loro, gli Assalti Frontali. Insieme a quella dei Nirvana, era la musica che ascoltavo nei primi anni ’90. Gli altri avevano l’orrendo pop e l’orrenda dance anni ’80,  Madonna, gli U2, Jovanotti e via discorrendo, io, giovane timida e delicata, avevo gli Assalti Frontali.

Erano dunque un gruppo rap underground molto impegnato politicamente, gli Assalti Frontali. Militant A, provenendo dall’Onda Rossa Posse, era quindi legato alla radio militante Radio Onda rossa. Nel 1990 era uscito, da questo gruppo e da questo ambiente, l’album autoprodotto Batti il tuo Tempo, prima opera in assoluto di rap italiano. Questo primo rap, indipendente, politicizzato e tutto italiano, fu un fenomeno che attirava la curiosità di molti intellettuali. Tra questi, il sociologo Franco Ferrarotti se ne occupò in un suo libro dedicato alla musica dei giovani degli anni ’90. Tra l’altro, Ferrarotti vi scrisse questo:
“Le ‘posse’ sono, per i giovani di oggi, il ventre della balena, una nuova, aggiornata versione del racconto biblico di Giona, in attesa di una resurrezione che forse non verrà. In questo senso le ‘posse’ riuniscono ed esprimono, in forme varie e originali, le ‘culture del conflitto’, forse l’ultimo dissenso organizzato, inter-personale e territorialmente radicato che sia possibile nel mondo totalmente amministrato delle società tecnicamente progredite […].
‘Non si tratta di portare nelle nostre strade una cultura come se fosse un valore assoluto – scrivono gli Assalti frontali – si tratta di raccogliere l’invito dei nostri indomabili fratelli neri, i discendenti degli schiavi che nel cuore del ghetto, di notte, nei vicoli, ancora una volta si sono alzati per prendere la parola con le rime, il ritmo, la danza, i disegni di rivolta sui muri. Si tratta di rapportarsi a questa cultura in forma creativa, propositiva e attiva.’ […].
Con riguardo alla scena musicale italiana, l”ondata rap’ ha dato un contributo essenziale al riconoscimento dell’importanza dei testi. Un tempo, quando i suoni di per sé parevano in grado di trasmettere le emozioni, le parole potevano apparire superflue. Non è più così. All’interno dei Centri sociali, a contatto diretto con la dinamica dei gruppi, che si conoscono e riconoscono, la parola riacquista la sua valenza di suono più significato. Cosa vi sia dietro a questa evoluzione, non è facile a dirsi. Nel ‘ventre della balena’ si è probabilmente fatto strada il bisogno di oralità dopo la grigia fase delle ‘lingue tagliate’, l’esigenza di parlare in prima persona, senza interessati suggeritori, di protagonismo, di sottolineare e anche enfatizzare il proprio essere, la propria presenza, il corpo, da parte di chi ha cessato di riconoscersi nelle etichette sbiadite delle vecchie formazioni ideologico-politiche o nelle concettualizzazioni, sistematiche e intimamente autoritarie, calate dall’alto, ancora una volta come un marchio schiavile, sulla pelle dei giovani alla fine del secolo ventesimo”. (2)

Militant A è soprattutto, per me, l’autore e la voce di una canzone intitolata Terra di nessuno, tratta dall’omonimo album, il primo con la formazione degli Assalti (1992), che mi coinvolgeva a dir poco. Immaginavo questo ragazzo non di molto più grande di me, arrabbiato, sì, ma con quella grazia (la chiamerei) che solo una lucida tragedia può dare. Le parole di questa canzone, che non capivo fino in fondo, perché si riferivano a fatti che non conoscevo, lasciavano ad ogni modo intuire parecchio. Erano urlate con angoscia e con durezza sempre crescenti, mentre contrastavano con una voce giovane e nobile, quasi acuta. La musica di sottofondo, poetica nella sua intensità angosciante, concorreva a coinvolgermi. La prima volta che la sentii, trasmessa dal mitico programma di rai radio 2 dedicata al rock e alla musica indipendente che io ascoltavo nell’intimità della mia stanza romana tutte le sere, consumando con essa la mia libertà, restai senza parole per quella forza ossessiva e trascinante. Ne riporto il testo, che mi pareva per lo più una lettera violenta e pura, il cui amore era quello dolce della disperazione. Va letto facendolo accompagnare dal ritmo allucinato della sua musica.

 

Qui sull’orlo dei binari
seduto su una banchina di marmo lunga fino a Milano
fantasma di un fantasma di stazione inesistente chiamata
Roma Nomentano.
Un punto in mezzo al niente
un mondo in un mondo
intorno a un mare maledetto di cemento
che a cento all’ora centomila treni navigano in corsa
incontro a un altro giorno
e intorno intorno a me solo il calore dei colori
i sogni raccontati sui muri dai graffiti
il calore dei tuoi colori
perché il tempo che passa non può più cancellarli
dolce compagna di strada avrei voluto più tempo
so quanto avresti voluto più tempo per parlarci
per abbracciarci
e oggi qui sull’orlo dei binari in questo giorno
rincorro mille pensieri
e ho da farti un duro racconto.
Hanno bussato alla mia porta di mattina presto
e ho saputo quello che era successo nella notte al Corto
quando ero lì ho visto
un inferno un incendio un inferno di lamiere
e sotto le macerie un fiore.
Alcuni piangono altri non parlano
di questa sporca terra d’armi
d’intrighi di ingiustizie di mercanti d’inganni
e adesso che guardo attraverso questi anni
sento quanto ci sono dentro
così forte sento a quale parte appartengo
giorno dopo giorno
ho perso il conto del tempo
non posso fermarmi mi urlo
mi urlo di andare avanti
e ti voglio dire
ti voglio dire anche se non lo so se non mi senti
voglio dirti lo stesso
che se non possono più esserci lunghi sorrisi
in questa valle, non chiederò chi è legale chi illegale
se nella vita così è il nostro viaggio
non posso tornare a mani vuote al mio villaggio.

Storie umane nelle mille storie umane
e ogni volta e ogni volta possono fiorire o finire
e ogni volta c’è sempre
chi ha davvero voglia o si sforza di capire
chi finge soltanto o soltanto non ha nessuna voglia di capire.
Ricordo come un’onda di ritorno
quanti personaggi troppi personaggi
le loro facce somigliarsi
e il loro vestito… non sempre quello del nemico
dividere divisi fino all’infinito
così forti coi deboli deboli coi forti.
Qui sull’orlo dei binari il sole
ha lasciato solo il colore arancione
sulle mille storie umane
a uno a uno
su tutti quelli che non mi sono mai lasciato dietro
i miei fratelli
che non mi hanno mai lasciato dietro solo
nel calore di un momento che non lascia il posto al vuoto
e cammino passo dopo passo
su questa banchina di marmo
quando guardo verso l’alto mentre un lampo sfreccia
proprio sopra la mia testa
sul Ponte delle Valli
una luce azzurra lampeggiante con un urlo regolare
a intervalli
e in un istante come a San Lorenzo
penso a quella macchina
volante giù da questo ponte
e in un secondo ricordo quel giorno
i maiali le facce dei nostri guardiani
grondanti piacere per quello sporco mestiere
le loro voci per radio io dentro quell’auto
sperando di uscirne più vivo che mai
soffrendo disprezzo
contando le varie possibilità
sulle domande di quei fottuti gratuiti giudici
così tanto lontani dalla vita di Militant A.
Quante domande mi affollano la testa
io sono solo quello che sono
un uomo nella terra di nessuno
conosco il prezzo alto della coerenza in questa terra
di volta in volta sento chi la abita al fianco
e conosco bene il volto di chi la calpesta
l’ho visto troppe volte contro
vivendo come di notte il giorno e di notte ogni notte
guarda come arrivano le risposte
scorrendo lasciano scorrere questo testo
verso dopo verso sopra quello che penso
sopra il silenzio, e non è finita.
Se parliamo così è perché è la nostra vita
e non sono mai mai stato così lucido come adesso
adesso che non posso fare altro
che camminare passo dopo passo senza via di mezzo
ad alta voce
con un sorriso dentro
e ora vado
per non tornare nel villaggio a mani vuote.

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(1) AA.VV. , Guida alla Roma ribelle, Voland, 2012, pgg. 231-2.
(2) Franco Ferrarotti, Rock, rap e l’immortalità dell’anima, Liguori, 1996, pagg. 99-103.

 

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