Un’infanzia potenziale è in noi

Fotografia di Daniela Gliozzi

 

“Grazie alle immagini dei poeti, l’infanzia si rivela come psicologicamente bella. Come si può non parlare di bellezza psicologica di fronte a un avvenimento affascinante della nostra vita intima? Questa bellezza è in noi, nel fondo della memoria. È la bellezza di uno slancio che ci vivifica, che ci aiuta a ritrovare il dinamismo della vitalità. Nella nostra infanzia, la rêverie  ci garantiva la libertà. Stranamente, è proprio attraverso la rêverie che prendiamo coscienza del concetto di libertà. L’idea di cogliere questa libertà in una rêverie  infantile può apparire paradossale solo se si dimentica che gli adulti sognano ancora la libertà come quando erano bambini. Di quale altra libertà psicologica godiamo oltre a quella di fantasticare? Psicologicamente parlando, è proprio nella rêverie che siamo degli esseri liberi.
Un’infanzia potenziale è in noi. Quando la ritroviamo nelle nostre rêveries, più ancora che nella sua realtà, la riviviamo in tutte le sue potenzialità. Sogniamo tutto quello che avrebbe potuto essere, sogniamo la storia e la leggenda. Per recuperare i ricordi delle nostre solitudini, idealizziamo i mondi della nostra infanzia solitaria. Uno dei compiti della psicologia positiva consiste nel rendere conto dell’idealizzazione reale dei ricordi di infanzia, dell’interesse che manifestiamo per i nostri primi ricordi. La comunicazione tra un poeta dell’infanzia e i suoi lettori si realizza grazie alla mediazione dell’infanzia che rimane in noi. Tale retaggio infantile è una sorta di apertura alla vita, che ci permette di capire e di amare i bambini, trattandoli da pari.
Quando il poeta ci parla, ci trasformiamo in acqua zampillante, sorgente di vita. Ascoltiamo Charles Plisnier:

Ah! Pourvu que j’y consente
mon enfance te voici
aussi vive, aussi présente.

Firmament de verre bleu
arbre de feuille et de neige
rivière qui court, où vais-je? [1]

Leggendo questi versi, riesco a vedere il cielo blu sopra il mio fiume, nelle estati del secolo scorso.
L’essere della rêverie attraversa senza invecchiare tutte le età dell’uomo, dall’infanzia alla maturità. Ed è per questo che, avanti negli anni, quando tentiamo di far rivivere rêveries d’infanzia, abbiamo la sensazione che la rêverie raddoppi.
Questo approfondimento della rêverie che proviamo quando sogniamo la nostra infanzia, dimostra che, in ogni rêverie, anche quella nata dalla contemplazione della bellezza del mondo, finiamo ben presto per lasciarci trasportare dai ricordi. Senza quasi accorgercene, recuperiamo antiche rêveries, così remote che non pensiamo nemmeno più a datarle. Un bagliore di eternità discende sulla bellezza del mondo. Trasportati in un lontano passato, ci troviamo davanti a un grande lago di cui i geografi conoscono il nome, circondati da alte montagne. Nel ricordo nasce la rêverie. Nella rêverie nasce il ricordo. I nostri ricordi ci restituiscono un semplice fiume, che riflette un cielo appoggiato alle colline. Ma la collina si ingrandisce, l’ansa del fiume si allarga. Il piccolo diventa grande. Il mondo della rêveries infantile è talmente grande, più grande del mondo che si offre oggi alla rêverie. C’è corrispondenza tra la grandezza della rêverie poetica suscitata da un grande spettacolo del mondo e la rêverie infantile. L’infanzia è all’origine dei più grandi paesaggi. Le immensità primitive derivano dalle nostre solitudini infantili.”

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1. Ch. Plisnier, Sacre, Corrêa, Paris, 1938, XXI [Ah! Purché io vi acconsenta / eccoti qua mia infanzia / così viva, così presente. / Firmamento di vetro blu / albero di foglia e di neve / fiume che scorre, dove sto andando?].

 

(Gaston Bachelard, La poetica della rêverie, Edizioni Dedalo, 2008, pp. 105-107.)

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