Parlare ai ragazzini

Fotografia scattata sul set de Gli anni in tasca; sullo sfondo, Truffaut

 

Oggi riporto una lettera che scrissi il 27 gennaio 2011 ai miei alunni di allora, che frequentavano la seconda media.
Parlare ai ragazzini è l’unico atto tollerabile che ormai concepisco, in un mondo in cui – è purtroppo evidente – il razzismo è tornato di moda.

 

In occasione della Giornata della Memoria, ai miei alunni

Cerco di spiegarvi perché ogni anno dedico tanto tempo alla Shoah.
Di genocidi ce ne sono stati tanti nella Storia. Ma proprio dalla mia passione per lo studio è nato il forte dubbio che nessuno sia paragonabile a questo, perché la Germania era un Paese “civilissimo”: i filosofi, i compositori, i poeti, gli scrittori, gli scienziati migliori, quelli che io ho amato di più, erano in gran parte tedeschi; e perché il nazismo non fu solo il fenomeno che ha coinvolto Hitler e circa altri duecentocinquantamila esseri umani che lo seguirono, di cui centomila attivi nel massacro; quasi tutto il popolo tedesco odiava gli ebrei. Gente normale. Gente che si riteneva buona, a volte saggia, di sicuro sana di mente.
E allora dove nasce il male? A monte del massacro, dove è il suo germe?
Io credo sia il razzismo. Il razzismo è il pregiudizio nei confronti di un essere umano a causa del suo appartenere ad una sorta di “categoria”, a una “specie”, a un “tipo”, insomma a un complesso di persone raggruppate secondo un certo criterio. E questo criterio è sempre insignificante nel definire qualcuno. Una persona appartiene al genere umano: è questo il criterio che conta. E conta anche ciò che fa di ognuno di noi qualcosa di unico e irripetibile, col suo carattere, le sue qualità. Una persona è tale non perché italiana o svedese o russa. E anche la religione che essa dichiara di professare (se ne ha una), è importante sì, ma non può, solo quella, dire tutto di lei, e soprattutto non rappresenterà mai, di per sé, qualcosa che rende quella persona “negativa”, da condannare. Una persona è una persona. E se anche quel carattere e quelle qualità non ci piacciono, non per questo possiamo considerare giusto ritenerla meritevole di umiliazione o di sofferenze o di sofferenze indicibili o della morte o di una morte atroce.
Il razzismo nasce quasi come una cosa normale: io sento l’autista dell’autobus che impreca contro gli immigrati, la signora al supermercato che parla male degli “zingari” e addirittura qualche politico alla TV che esprime liberamente e fieramente il suo disprezzo verso una determinata nazionalità o una cultura o una tradizione religiosa.
E’ una cosa normale: mi succede quasi ogni giorno. Eppure solo questo porta ciò che ha portato la Shoah. E’ lo stesso razzismo, anche se questo è l’anno 2011 e non il 1935 o il 1942.
Ed è questo il motivo per cui non dobbiamo dimenticare ciò che è successo, perché non è così pazzesco pensare che si possa tornare a quel male, il male che ha provocato in pochi anni e quasi come se nulla fosse, velocemente, e in modo molto, molto efficiente, l’eliminazione di sei milioni di ebrei, di un milione di dissidenti politici, di mezzo milione di rom e di sinti, di settecentomila disabili, di quindicimila omosessuali, di duemila Testimoni di Geova, senza contare le conseguenze “naturali” della guerra voluta da Hitler, cioè il massacro dei prigionieri di guerra, dei civili inermi nei territori occupati, cioè donne, vecchi, bambini, e, in quegli stessi territori, dei partigiani e dei patrioti.
E’ così poco assurdo pensarlo che una filosofa (tedesca ed ebrea) lo chiamò “banale”. Lei si interrogava:  perché la gente normale non disse di no a questo orrore? Perché tanta gente comune, tanta “brava gente”, approvò (e provò) un odio senza motivo e spinto a conseguenze così tremende? E’ poi così facile allora capire cosa è il bene e cosa è il male?
Io penso che l’essere umano tenda naturalmente al bene, ma a patto che non smetta mai di coltivare in sé questa risorsa, e che non smetta mai di interrogarsi su quella domanda.
Per questo finisco, in occasione della Giornata della Memoria, col citare le parole di quello stupendo scrittore che sopravvisse alla Shoah, Primo Levi: “Ogni uomo è tenuto a sapere che Auschwitz è esistito, e che cosa vi è stato perpetrato: se comprendere è impossibile, conoscere è necessario.”.

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Nota: mi scuso se non indico le fonti dei dati numerici che ho riportato. Allora non lo ritenni necessario, considerandoli di dominio pubblico, e quindi ora non saprei ritrovarle.

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