Contro il nazionalismo

Pino Ferfoglia, Sul Carso,  china su carta, 1969

 

Riporto l’articolo di Marinella Salvi, che definirei necessario, apparso oggi su “il manifesto”, Meloni a Basovizza, esercizio di retorica nazionalista divisiva.

 

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LA CERIMONIA. Nel Giorno del ricordo la premier commemora i morti nelle foibe. Ma dimentica che la cittadina è stata il simbolo della furia mussoliniana contro croati e sloveni.

Un Carso scuro spazzato dal vento, la tristezza che pervade terra e spirito. Gli animi sono divisi a Basovizza. Nel piazzale davanti al monumento tanti rappresentanti delle associazioni d’arma e degli esuli, con labari e bandiere; in paese bar e ristoranti aperti in una apparente, parecchio finta, normalità. Basovizza, per anni cittadina simbolo della furia snazionalizzatrice dell’Italia fascista, sloveni e croati che ancora vengono a rendere omaggio ai quattro giovani fucilati nel 1930, al piccolo monumento inaugurato nel settembre del 1945 con migliaia di persone e le corone d’alloro degli alleati anglo-americani.

PER LA GENTE DEL CARSO sono «gli eroi di Basovizza», quattro cittadini italiani, triestini di lingua slovena, processati dal Tribunale speciale fascista e fucilati di nascosto, ricordati per un attimo da Mattarella e dal Presidente sloveno quattro anni fa, pensando potesse essere un atto di riconciliazione. Il discorso di Meloni davanti alla foiba è il tripudio del nazionalismo più gretto e divisivo. Gli esuli figli prediletti perché italiani per nascita e per scelta, i martiri che si gettavano da soli nelle foibe gridando «Viva l’Italia», i tricolori nascosti e la rinuncia a tutto «ma l’unica cosa che i comunisti titini non potevano togliere era l’amore per la Patria». Italianità come bene supremo da trasmettere alle nuove generazioni e il suo «impegno solenne perché sia tramandato l’esempio di tenacia e di orgoglio che ha consentito alla tragedia giuliano-dalmata di uscire dall’oblio cui era stata volutamente cacciata».

E VIA con la nuova legge che affinerà l’intervento nelle scuole e il Museo del Ricordo a Roma e il Treno del Ricordo che è stato organizzato per «sanare la vergogna di quel treno pieno di profughi che a Bologna fu preso a sassate dai comunisti». Esuli, italiani due volte. Per amor di logica, se la Patria è «la famiglia del cuore», Meloni avrebbe dovuto rendere omaggio anche a quegli slavi che si sono fatti ammazzare per conquistare una propria di Patria. Invece no, quelli solo barbari assassini. Si vede che la Patria deve essere una sola, l’Italia, altrove sunt leones. Fulgido esempio del concetto fascista di nazione.

BASOVIZZA e tutto il Carso in cerca di pezzi di storia: i cento monumenti con i nomi dei partigiani caduti o la data incisa nel marmo di quando il paese è stato dato alle fiamme dai nazifascisti. In troppi fanno finta di non vedere e l’offesa si riproduce tutte le volte che qualcuno grida, legando tutti in un unico mazzo, contro gli «slavi comunisti» quasi non fossero vicini di casa, la gente da cui si prende il vino e il prosciutto, come fossero sordi a tanta violenta faciloneria. I «piccoli sgarbi» quotidiani come al Poligono di Tiro di Opicina dove furono fucilati un centinaio di antifascisti e dove si spara a ogni ora di ogni giorno per tenere allenati tutti i corpi armati dello Stato, della Polizia locale alle guardie giurate. Sarebbe come si facessero esercitazioni militari davanti alle Fosse Ardeatine. È la stessa offensiva maleducazione, lo stesso disprezzo che fa collocare un Luna Park di fianco alla Risiera.

A RIDOSSO di questo confine segnato dalle tragedie pare, alla destra, che tutto sia permesso eppure ancora in tanti ricordano l’albero, proprio nella via principale del paese a due passi dalla scuola elementare, dove restò impiccata per giorni Rozalja, anziana madre di due partigiani, seviziata e trascinata per giorni nei boschi per snidarli. Volendo costruire una narrazione non di parte e sperare che la storia non si ripeta, servirebbe riconoscere le memorie divaricate e toglierle tutte dall’oblio. Passare in via Cologna, per esempio, una delle sedi dell’Ispettorato Speciale, quella italianissima banda Collotti che aiutava i nazisti a rastrellare, torturare, uccidere antifascisti, fossero italiani sloveni o croati.

VIAGGIO DISAGEVOLE per gente dal cuore nero, ma che un presidente del Consiglio pensi di venire a Trieste vantandosi di avere visitato la foiba di Basovizza tante volte fin da giovane e non pensi nemmeno per un attimo di andare alla Risiera di San Sabba, racconta più di tante parole. Provi Meloni a visitare le celle dove gli antifascisti aspettavano il colpo di mazza e il forno crematorio e pensi che forse quella piccolissima stella rossa di stoffa trovata conficcata in una fessura del muro apparteneva a un italiano. Un italiano morto per riscattare l’Italia dallo scempio che ne aveva fatto il fascismo. Ma le migliaia di antifascisti ammazzati in Risiera non morivano gridando «Viva l’Italia», magari gridavano «Viva la Libertà» o addirittura «Viva il comunismo». Deve essere questo che rende il luogo indigesto a Giorgia perché non è vero che basta essere italiani per piacerle.

 

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