La crosta dell’indifferenza

                       Kirill e i suoi genitori

 

Pubblico l’articolo di Andrea Nicastro, apparso oggi sul “Corriere della sera” con il titolo Kirill, ucciso a 18 mesi: figlio di tutti.
Nella didascalia alla foto di Evgenyi Maloletka riportata dal quotidiano (qui sopra ne ho inserito un ritaglio) si legge che i medici hanno cercato di salvare il bambino aiutandosi con la luce dello smartphone, visto che l’ospedale è privo di elettricità e riscaldamento.

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Krill, il bimbo dei genitori ragazzini, aveva 18 mesi. Ucciso dai soldati russi a Mariupol, è l’immagine di una pietà, oggi, cancellata.
Evgenyi Maloletka è un ragazzone alto, magro, con un graffio profondo sul naso, vicino agli occhi. Cos’è successo? Nulla, me lo sono fatto da solo. Un giorno, poi un altro, il graffio non guariva. Evgenyi continuava a grattare, ad impedire alla pelle di rimarginarsi. È lui l’autore degli scatti sugli ultimi momenti di vita di un bambino di un anno e mezzo, Kirill, ucciso venerdì dalle bombe russe a Mariupol.
Evgenyi è il fotografo e “autista” del team dell’agenzia Ap nella città sotto assedio. Mstyslav Chernov, che parla anche un ottimo italiano e ha lavorato nella guerra del 2014 per la Rai, è lo scrittore. Una ragazza alta un metro e cinquanta, fragile, magrissima, carica di attrezzature è la video maker. Una vergogna non averne segnato il nome. Sono loro tre che stanno documentando per il mondo quel che succede dentro la città simbolo della crudeltà di questa invasione. Nei primi giorni d’assedio le bombe cadevano soprattutto di notte e loro tre rientravano in albergo al mattino, scivolavano lungo i muri, si accasciavano al tavolo della colazione. Ora li si può immaginare senza sonno e senza forze come il resto dei 300 mila prigionieri.
Anche venerdì, nonostante le sirene, nonostante le bombe, Evgenyi ha guidato il furgoncino fino in ospedale. Era all’ingresso del pronto soccorso quando ha sentito gridare. Un uomo e una donna, poco più che ragazzi, entrano di corsa. In braccio lui ha un bimbo, il loro Kirill di un anno e mezzo. Gli scatti di Evgenyi registrano l’essenza. Si vede, si sente, l’adrenalina della corsa, la speranza mista a disperazione, la preghiera che trabocca da quei due cuori. Il bimbo aveva appena imparato a dire le prime parole, si accoccolava sul seno della mamma e si addormentava.
Una foto di Evgenyi mostra mamma e papà in attesa di sapere. Lui è in ginocchio, come a chiedere scusa per non essere stato capace di proteggere il bimbo. Lei è risucchiata dal suo dolore, sente la mano di lui, ma è troppo lontana, persa. Kirill non ce l’ha fatta. Il medico ha tentato quel che poteva, con quel poco che è rimasto nell’ospedale. Il sangue del bimbo era tutto nella maglietta della mamma e nella coperta che aveva in mano il papà. Ma al giornalista dell’Ap ha ripetuto la frase che aveva gridato pochi giorni fa quando gli era morta tra le mani una bambina di 6 anni, un’altra vittima innocente di Mariupol. Anche in quel caso c’erano la mamma e il papà disperati, anche in quel caso c’era il dolore contro natura di veder morire il proprio figlio.
Kirill è stato portato a braccio dai genitori. Non c’era più ambulanza a Mariupol per lui. La piccola senza nome, invece, è stata colpita nei primi giorni di assedio. Il medico le è andato incontro, sulla lettiga, tentando un massaggio cardiaco. Tutt’e due le volte il dottore ha fallito. Ma non solo lui. Tutto il mondo degli adulti ha fallito. Quel medico col camice sporco, tutt’e due le occasioni della sua e della nostra vergogna, ha gridato: “Fallo vedere a Putin, fai vedere a Putin questi occhi”.
Il fotografo autista Evgenyi è tornato nel suo rifugio schivando le bombe e strisciando contro i muri. E poi ha mandato nel mondo quella scena di tragedia, perché anche noi si possa grattare un poco della nostra crosta di indifferenza.

 

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