Contro la violenza sulle donne

W. A. Bouguereau, Le raccoglitrici di nocciole

 

Riporto un articolo di Barbara Bonomi Romagnoli e Lorenzo Gasparrini, pubblicato su:  http://temi.repubblica.it /micromega-online  – 5 marzo 2018

“Il femminicidio non è un omicidio come gli altri”. Barbara Bonomi Romagnoli e Lorenzo Gasparrini replicano all’articolo Femminicidio e violenza sulle donne di Edoardo Lombardi Vallauri pubblicato su MicroMega.

La lingua, si sa, batte dove il dente duole. E, più di noi, dovrebbe saperlo un linguista. Si fa molta fatica, ad esempio, a inserire nuove parole nel lessico comune quando fanno riferimento ad un universo culturale e sociale intriso di stereotipi e modelli di riferimento allergici al cambiamento.

Il termine femminicidio, così tanto osteggiato per anni e finalmente in uso anche nei media mainstream, non significa semplicemente, come ritiene il professor Edoardo Lombardi Vallauri,  “uccisione di femmina da parte di maschio” ma l’uccisione di una donna in quanto donna, magari perché rivendica spazi di autonomia e autodeterminazione e non certo perché è investita casualmente da un pirata della strada. Non è un omicidio come gli altri, femminicidio indica espressamente il movente, e non il fatto in sé. Non si possono mettere sullo stesso piano i numeri degli uomini ammazzati per motivi vari – e mai perché “uomini in quanto uomini” – con i numeri che riguardano i femminicidi, tanto più se la “violenza sulle donne” la si considera, dal punto di vista tecnico linguistico, un’espressione ad hoc.

Così come “violenza sulle donne” non è solo “violenza sulle donne da parte di uomini” ma è la più estesa violenza maschile che indica tutta una serie di forme e livelli di violenza che si esprimono attraverso comportamenti e stereotipi di genere, ruoli sociali, discriminazioni, ineguaglianze e soprusi che le donne, tutte, possono subire, a volte anche da altre donne pregne di cultura maschilista.

Per cui sì, gli uomini c’entrano, ma non perché subiscono più violenze generiche, ma perché sono gli agenti principali della violenza e soprattutto i responsabili della millenaria cultura sessista in cui cresciamo, tutte e tutti.

Sono solo due esempi per rispondere ad un ragionamento che rischia a nostro parere di non ancorare le parole alla realtà. Lombardi Vallauri ad un certo punto asserisce: “se parliamo di violenza fisica, chi se ne occupa veramente sa che essa è davvero uno spregevole primato degli uomini, ma che le principali vittime non ne sono le donne, bensì gli altri uomini”. E più avanti sostiene che la violenza maschile sulle donne sia solo “un pezzetto del problema”.

Non sappiamo a chi si riferisca Lombardi Vallauri, ma le operatrici che conosciamo noi e che da anni, decenni, si occupano di violenza maschile sulle donne ci dicono che il problema non è un ‘pezzetto’ e che, in un paese come l’Italia, i costi sociali della violenza maschile sulle donne equivalgono ad una manovra finanziaria. Non solo, normative internazionali come la Convenzione di Istanbul, hanno chiarito che “la violenza contro le donne” è anche violenza dei diritti umani e colpisce le donne in modo sproporzionato. In più, come due secoli di femminismi hanno ampiamente dimostrato, quella generica violenza che fa tanto male anche agli uomini è un prodotto della competitiva mentalità virile, così cara alla cultura maschilista che ancora la sostiene.

La competenza in questioni di genere si acquista, come tutte le altre competenze, con lo studio, l’impegno e lavoro sul campo – e anche molto lavoro su di sé. Lombardi Vallauri ha interpretato erroneamente il significato di parole importanti usate da chi si occupa di violenza maschile sulle donne ed è incorso in una fonte molto discutibile: lo studio infatti che cita per sostenere la ‘simmetria’ della violenza di genere è lo pseudostudio di Macrì notoriamente sconfessato, vicenda che chiunque si occupi di violenza di genere in Italia conosce come proverbiale di certa retorica maschilista travestita da scienza.

A voler fare una disamina linguistica sulla violenza, dovremmo forse iniziare ad usare in tutte le scuole e università di ordine e grado il linguaggio sessuato, magari così potremmo iniziare a sgomberare il campo da quella forma di violenza così sottile ed evanescente, eppure così intensa e persistente, che si posa sui corpi attraverso le parole.

 

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