Sulle foibe, il sottinteso dell’equiparazione

Giorgio Celiberti, Paesaggio montuoso. Carso. Particolare

 

Il 29 agosto mandavo a radio tre un messaggio che copio qui. Si trattava delle esternazioni di un giornalista di Prima pagina. Era una settimana che diceva che è giusto equiparare Shoah a foibe, perché i morti son sempre morti. Ha detto praticamente solo questo sull’argomento, ma ripetutamente e con forza.
Aveva inoltre affermato che i fascisti non esistono più, concetto sul quale purtroppo mi sento di dissentire con altrettanta forza.
In generale, respingo il goffo sottinteso dell’equiparazione. Ho ricevuto in risposta un messaggio concorde (anche se non firmato) dalla redazione di radio 3, che mi ha fatto piacere.
Ho gradito anche l’appello, Solidarietà a Tomaso Montanari – che pubblico più sotto e che ho letto per sentirmi ancor meno sola – proposto da “il manifesto” il primo settembre.

Ecco il mio messaggio:

“Sempre riguardo alle foibe, non commento gli interventi di Montanari che non ho letto, ma quelli ascoltati a Prima pagina. Io credo che di certo un eccidio sia un eccidio e i morti siano morti, come dice il giornalista. Ma l’analisi intellettualmente onesta di un avvenimento storico credo sia importante per portarci a considerazioni più ampie, si spera non ‘ideologiche’, ma atte a comprendere meglio i fenomeni che ci riguardano. Nella fattispecie, le foibe ‘servono’ a equiparare comunismo e nazifascismo? Io non ci sto. Il nazismo è quella cosa lì. È nato per sbarazzarsi degli ebrei. La ragione d’essere del fascismo era un nazionalismo esasperato, xenofobo e guerrafondaio. Il comunismo non si riduce alle foibe, i comunismi reali hanno fatto crimini mostruosi (come del resto – grazie al cielo in molta minor misura – anche i governi liberali), ma l’idea che ha coinvolto milioni di lavoratori sfruttati in tutto il mondo è ben altra cosa dalla follia di quei realismi. Anche nell’ingenuità, che di certo c’era. Il significato del genocidio degli ebrei, dei rom e dei sinti va oltre il valore di ogni singola vittima, e va letto anche e soprattutto nelle circostanze, nelle intenzioni, nelle conseguenze che per l’umanità quello ha significato. Ogni singola morte è un assoluto che va rispettato allo stesso modo. Ma la Storia ci mette di fronte a dei problemi: cosa deve temere l’umanità, cosa può fare l’umanità, come si può impedire la prospettiva rinnovata, ad esempio, di un piano altamente efficiente che ha sterminato in pochi anni milioni di persone comuni, solo perché appartenenti ad un popolo? Perché se una cosa è stata, cosa mi impedisce di temere che sarà, in un futuro più o meno lontano? L’eccidio delle foibe è gravissimo, utilizzarlo per sminuire la gravità della Shoah oppure per ammorbidire le responsabilità dei fascisti (che per inciso avevano compiuto negli anni precedenti crimini odiosi proprio in quelle terre) credo sia pericoloso: è togliere prospettiva storica alle vicende del passato. E questa strumentalizzazione è spesso accaduta. Dunque, sono i piani ad essere diversi, il piano dell’interpretazione storica documentata e il più possibile onesta, ed il piano della giusta, sacrosanta compassione per ogni vittima e della giusta, sacrosanta indignazione per ogni strage. Daniela”.

Ps: invito a leggere il libro di Eric Gobetti, E allora le foibe?, Laterza, 2020, soprattutto per la questione della presunta “pulizia etnica”.

Ecco l’appello de “il manifesto”.

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Appello. Solidarietà e condivisione da parte della comunità dei docenti, attivi o in pensione, a Tomaso Montanari, al quale non viene evidentemente perdonato il fatto che, in quanto rettore, egli non si senta parte dell’establishment culturale e politico del Paese, non si faccia difensore e cantore dello status quo

Tomaso Montanari, eletto rettore all’Università per stranieri di Siena, è da tempo oggetto di una campagna denigratoria su cui, a questo punto, non possiamo tacere, come docenti, attivi o in pensione, e come comunità intellettuale. Montanari, ovviamente, sa difendersi da solo e da par suo, e ha la possibilità di farlo quale collaboratore del Fatto Quotidiano. Benché inquieti il silenzio, la mancata difesa da parte dei suoi colleghi, rettori e docenti. Ma il caso personale di questo rettore in pectore assume ormai una dimensione politica più generale su cui occorre far sentire una voce collettiva. Ricordiamo che ai primi di agosto, da poco eletto e ancora non in carica, Montanari ha subìto la richiesta di dimissioni da parte della viceministra alle infrastrutture e mobilità sostenibile, Teresa Bellanova, con la motivazione che “non sa tenere la lingua a freno”.

Una intimidazione davvero grave, da parte di un membro del governo, che attacca la libertà di parola e l’autonomia universitaria con una disinvoltura rivelatrice del torbido spirito pubblico dei nostri giorni. Clima culturale e politico in cui un altro vice ministro, Claudio Durigon, ha avuto l’ardire oltraggioso di proporre il nome di Arnaldo Mussolini per un parco che porta quello di Falcone e Borsellino: i due magistrati massacrati dalla mafia con le loro scorte, due figure che hanno riscattato con la loro vita l’onore della Sicilia e dell’Italia di fronte agli occhi del mondo. Non a caso, in questi ultimi giorni si è scatenata la canea neofascista contro il neorettore, accusato di aver negato le foibe e altri sono intervenuti con posizioni pilatesche che testimoniano solo l’ ignoranza dei fatti. Ora a dare inopinatamente man forte a queste polemiche, che fanno male a uno spirito pubblico nazionale già gravemente inquinato, interviene Aldo Grasso, il quale, sul Corriere della Sera (29/8), definisce l’intervento di Montanari sulla questione foibe “una mascalzonata”.

Montanari, faziosamente equivocato dai commentatori, ha ulteriormente chiarito la sua posizione di studioso che certo non è quella di un negazionista (Il Fatto, 26/8). Ma se ora si aggiunge la voce del Corriere, la confusione diventa ancora più grave. Grasso, che non è uno storico, dovrebbe però sapere che da anni il tema doloroso delle foibe è usato dai fascisti in stolida funzione anticomunista e antisinistra quale controaltare nientemeno che alla Shoa. Ed esiste una letteratura fantasiosa e biliosa in cui le cifre dei morti raggiungono numeri spaventosi, proprio per tale esplicito fine propagandistico. La “meschina contabilità” dei morti, che Grasso (ora si è aggiunto buon ultimo il solito Vittorio Sgarbi sulla stessa linea) rimprovera a Montanari, è da anni materia asprissima di controversia tra storici, e soprattutto inventori di leggende, e purtroppo – in un Paese nel quale il fascismo non muore mai – la verità storica deve imporsi anche tramite questa tristissima conta.

A tale scopo hanno lavorato, pioneristicamente Claudia Cernigoi, Sandi Volk, Alessandra Kersevan, Federico Tenca Montini e da ultimo Eric Gobetti, col suo E allora le foibe? (Laterza, 2020). Tutti costoro sono stati oggetto di attacchi scomposti o addirittura di minacce, soltanto perché hanno provato, documenti alla mano, a ristabilire le dimensioni reali del fenomeno, riconducendolo al suo contesto, quale pagina, per quanto atroce, di una guerra in cui gli italiani furono aggressori, e si comportarono in Jugoslavia in modo particolarmente feroce. In nessun caso, comunque, risponde a verità storica parlare di un piano di pulizia etnica da parte jugoslava contro gli italiani.

Esprimiamo dunque la nostra solidarietà e condivisione a Tomaso Montanari, al quale non viene evidentemente perdonato il fatto che, in quanto rettore, egli non si senta parte dell’establishment culturale e politico del Paese, non si faccia difensore e cantore dello status quo. Noi lo esortiamo a continuare la sua critica radicale, anche nel nuovo ruolo che ricoprirà. Non possiamo infatti dimenticare che negli ultimi anni i rettori italiani, tranne pochissime eccezioni, hanno accettato in solenne silenzio le riforme “aziendalistiche” e i devastanti tagli finanziari imposti alle università italiane. Come del resto ha fatto la grandissima maggioranza dei docenti universitari, le anime morte della vita civile italiana, che si destano da profondissimo sonno solo quando qualche provvedimento governativo tocca i loro stipendi.

 

Piero Bevilacqua, Enzo Scandurra, Angelo d’Orsi, Vezio De Lucia, Maria Pia Guermandi, Luigi Ferrajoli, Ginevra Bompiani, Enzo Paolini, Massimo Veltri, Ilaria Agostini, Alberto Magnaghi, Alberto Ziparo, Carlo Cellamare, Paolo Favilli, Ignazio Masulli, Alberto Olivetti, Gaetano Lamanna, Luigi Pandolfi, Franco Toscani, Franco Cambi, Tonino Perna, Maurizio Acerbo, Tiziana Drago, Franco Novelli, Rossano Pazzagli, Laura Marchetti, Domenico Gattuso, Angela Barbanente, Vito Teti, Lucinia Speciale, Andrea Ranieri, Simonetta Del Bianco, Raffaele Tecce, Graziella Tonon, Giancarlo Consonni, Mario Fiorentini, Marisa D’Alfonso, Giovanni Losavio, Riccardo Barberi, Paolo Berdini, Armando Taliano Grasso, Sonia Marzetti, Giuseppe Saponaro, Domenico Rizzuti, Luigi Vavalà, Domenico Cersosimo, Vittorio Boarini, Pino Ippolito Armino, Franco Blandi, Simona Maggiorelli, Daniele Vannetiello, Rita Paris, Giuseppina Tonet, Anna Maria Bianchi, Amedeo Di Maio, Roberto Budini Gattai, Francesco Trane, Anna Angelucci, Tommaso Tedesco, Battista Sangineto, Giuseppe Aragno, Roberto Scognamillo, Giovanni Carosotti, Massimo Baldacci, Francesco Gaudio, Piero Caprari, Francesca Leder, Marta Petrusewicz, Diego Amelio, Maria Paola Morittu, Piero Caprari, Francesco Santopolo, Umberto Todini, Claudio Greppi, Irene Berlingò, Francesco Cioffi, Romeo Bufalo, Amalia Collisani, Cristina Lavinio, Luisa Marchini, Vera Pegna, Tiziano Cardosi, David Armando, Antonio Ciaralli

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