Ecco…

Salvador Dalì, Visage de la Guerre

 

Insopportabili, spesso e volentieri, i tipi pasoliniani; insopportabile il cliché che induce ad amarlo, così, perché bisogna amarlo. Provo molta più simpatia verso l’atteggiamento di chi, tra i miei amici, non regge Pasolini.
Quanto a me, non voglio difendermi dal mio inizio con lui, anzi la esibisco con fierezza, quella prima volta, ostento quei giorni in cui io, sola, adolescente, ignorante, trovai le Lettere luterane in una casa dove erano finite per caso, in una casa in cui finivano, solamente per caso, troppi libri del genere. Casa mia.
Insomma, senza il privilegio di qualcuno che me lo avesse suggerito, che me ne avesse anche solo parlato, che lo avesse pure appena nominato di sfuggita – e senza molti altri, troppi, privilegi – ebbi comunque quello semplicissimo della fortuna e quindi, alla fine, del poter dire, davanti al mio primo Pasolini: “Ecco…”.
Non voglio neppure difendermi dall’aver continuato con lui, nei lunghi anni a venire. È stato ancora nuovo per me molte volte. Tutte quelle volte: “Ecco…”.
Andrà pure molto di moda, oggi, dire “ecco”, con lui, e Pasolini è diventato il santino che, sì, inizia a stare antipatico pure a me, oltre che a qualche mio dolce amico.
Pasolini, però, non tradisce oggi il mio esordio con lui, del tutto puro, e neppure tradisce quello che sono andata scoprendo dopo, tutte quelle prime volte: le altre prose giornalistiche, quelle critiche, la poesia, i romanzi, i film…
La Guinea non è la prima volta che la leggo. Anzi. Ha l’incipit più bello del mondo e ne ho parlato in un articolo proprio qui, in questo blog, tempo fa…
Eppure oggi mi è suonato nuovo, ma allo stesso tempo del tutto atteso, un brano tratto da La Guinea.
Nuovo, perché l’ho letto con senso di sorpresa, riportato in un messaggio della mia amica più cara (tra l’altro non tipa pasoliniana, ma studiosa serissima ed esperta del nostro).
Atteso, perché erano giorni che cercavo parole – dentro o fuori di me fa lo stesso – adatte a ciò che provavo e sto provando.
E siccome Pasolini è poeta la cui novità ti arriva come cosa attesa, non ho fatto fatica a ridire anche oggi – in questi giorni orrendi come erano orrendi in così verde etate quelli in cui lo dissi per la prima volta – “ecco”.
Non avrò bisogno di cercare forsennatamente qualche fondo di giornale o cose così. Ho trovato questi versi che dicono tutto, tratti da La Guinea, Poesia in forma di rosa, libro pubblicato nel 1964, e ancora una volta vedo che non c’è niente da fare, Pasolini parla prima di noi, come se indovinasse la nostra richiesta, il tutto nel rapimento di una trasparente, vertiginosa nostalgia.

“[…]
L’intelligenza non avrà mai peso, mai,
nel giudizio di questa pubblica opinione.
Neppure sul sangue dei lager, tu otterrai

da una dei milioni d’anime della nostra nazione,
un giudizio netto, interamente indignato:
irreale è ogni idea, irreale ogni passione,

di questo popolo ormai dissociato
da secoli, la cui soave saggezza
gli serve a vivere, non l’ha mai liberato.

Mostrare la mia faccia, la mia magrezza –
alzare la mia sola, puerile voce –
non ha più senso: la viltà avvezza

a vedere morire nel modo più atroce
gli altri, con la più strana indifferenza.
Io muoio. Ed anche questo mi nuoce.
[…]”

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