Credere all’amicizia tra Pasolini e Sciascia

Riporto un vecchio, interessante articolo di Tano Gullo dal titolo Caro Sciascia, ti scrivo firmato Pier Paolo Pasolini (“la Repubblica”, 11 dicembre 2003) sul rapporto tra i due grandi scrittori del ‘900. Non sono riuscita a rintracciare l’ “estratto”, tratto da Nero su Nero, di cui si parla alla fine. Rimedio trascrivendo io stessa, alla fine del pezzo e con mia libertà, parte dell’intervento, grondante chiara umanità, che Sciascia fece su Pasolini in quel bellissimo libro che è Nero su Nero, che dovrebbero leggere tutti coloro che vogliono capire qualcosa di intelligenza e di scrittura.

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RACALMUTO – Dai «cordiali saluti dal suo devotissimo», agli «affettuosi abbracci dal tuo», il passo è lungo due anni. Il passaggio dal lei al tu e i saluti sempre più intimi comunque non significano un rapporto eccessivamente confidenziale. Infatti, nelle lettere successive ogni tanto c’ è un curioso ritorno al lei. Pier Paolo Pasolini e Leonardo Sciascia hanno intrattenuto una intensa corrispondenza dal 1951 agli inizi degli anni Sessanta. Si spediscono articoli e saggi, si segnalano scrittori e poeti, si raccontano gli acciacchi, concordano pagamenti per le collaborazioni che si scambiano, organizzano convegni, incontri e viaggi, si comunicano emozioni per letture fatte, per riviste impaginate. In queste missive scorrono i nomi più significativi della nostra letteratura del dopoguerra: da Caproni a Bertolucci, da Contini a Bassani, da Gadda a Leonetti, da Siciliano a Garboli, dalla Morante alla Ginzburg. Le 35 lettere inviate dallo scrittore friulano sono le prime che la famiglia di Sciascia, in ottemperanza al mandato testamentario, ha consegnato alla Fondazione di Racalmuto intestata all’ autore del “Contesto”. Sono il fiore all’ occhiello della biblioteca che viene inaugurata sabato con due convegni, uno sul giallo e l’ altro sugli archivi. Nella prima missiva, datata 11 gennaio 1951, Pasolini ringrazia Sciascia per le duemila lire ricevute (a compenso di un suo articolo pubblicato su “Galleria” una rivista letteraria che lo scrittore siciliano dirigeva a Caltanissetta dove ai tempi viveva) e si scusa per il ritardo con cui scrive, raccontando di una caduta che gli ha procurato la frattura di un osso del bacino: «sei giorni in ospedale e un mese a letto». «Spero che le mie disgrazie – aggiunge – mi giustifichino!». Nella seconda, del 25 gennaio, lo rassicura che sta per accingersi a mettere in bello la «mala copia» di una recensione sulle “Favole della dittatura” pubblicato da Sciascia con Bardi, in modo che possa spedirla a un giornale. Poi gli segnala il poeta Dell’ Arco: «è così audace che temo ci voglia un bel po’ di fegato per pubblicarlo. Ho di narrativo altre cose meno violente, che se vuole le manderò in esame appena potrò». Lo scrittore di Racalmuto inserirà i sonetti di Dell’ Arco in una antologia (“Il fiore della poesia romanesca”) pubblicata dall’ editore nisseno Salvatore Sciascia, omonimo ma non parente, lo stesso che finanzia la rivista “Galleria” e che stampa alcuni libri giovanili dello stesso Pasolini. In quegli anni, per merito dei due Sciascia e di altri intellettuali, la piccola Caltanissetta diventa la culla della cultura siciliana che guarda anche al resto d’ Italia. è inserita a pieno titolo nel dibattito letterario del primo dopoguerra. Ne sono prova i nomi che spediscono i loro scritti alla casa editrice: Pasolini, Roversi, Romanò, Leonetti, Caproni, Bassani, Contini, Naldini. “I quaderni di Galleria”, allegati alla rivista, vengono dedicati a rotazione, «come in agricoltura», alla poesia, alla narrativa e all’ arte. Nove volumetti monografici all’ anno. La prima terna: Dal diario di Pasolini, Un giorno d’ estate di Angelo Romanò e Poesie per l’ amatore di stampe di Roberto Roversi. Annota nel suo diario Sciascia: «Pasolini mi scrisse: “Deliziosi i libretti! Te ne sono molto grato. Adesso aspetto le trenta copie per spedirle agli amici e ai critici. Finora l’ ha visto solo Bassani che è rimasto colpito dalla dignità e dal gusto dell’ edizioncina”». «Questi libretti – continua – hanno una storia e fanno piccola storia. Me ne ero quasi scordato, come forse se ne era scordato Pasolini. Rileggendo ora le sue lettere, mi pare di aver vissuto una lunghissima vita e che la felicità di allora sia come il ricordo di un altro me stesso; un lontano e remoto me stesso, non il me stesso di ora. Eravamo davvero così giovani, così poveri, così felici?». Sullo sfondo delle altre lettere c’ è l’ Italia degli anni Cinquanta, un paese che con fatica, dopo le devastazioni del fascismo e della guerra rientra nella storia contemporanea e comincia a gettare le basi del boom economico. è un paese ancora di sogni e di buoni sentimenti, di ansie, culturali e per il ritardo di piccoli compensi monetari. In una lettera del ‘ 53 Pasolini in una nota su Naldini preannuncia tre righe che avrebbe mandato successivamente. Una recensione sospesa per un paio di settimane, giusto il tempo di trovare la frase giusta. Alla fine arriva la busta con una citazione di Betocchi: «Vita di meravigliosi adolescenti, in cui tutto è nitidamente confessato». Nelle lettere Pasolini chiede chiarimenti per un viaggio in Sicilia in occasione del congresso sulla narrativa organizzato da Sciascia («Chi sarebbero i “noi” che ci ospitano, non vorrei gravare sulle tue spalle»), cerca voti per il suo “Teorema” candidato al premio Strega («Ho bisogno di voti, non tanto per vincere, quanto per non venire a sapere che sono completamente isolato e abbandonato, a parte pochi amici stretti. Spero che tu sia uno di questi e che ti decida a votare per me»). Gli raccomanda Leonetti, Romanò, Bassani, Marin («se gli pubblichi il libro Biagio Marin si impegna a farne vendere 250 a prezzo di copertina e ad acquistarne 100 copie lui stesso a prezzo di costo»), lo invita a spedirgli articoli, si impegna a scrivergli recensioni, lo rimprovera velatamente perché Sciascia in visita a Roma non lo ha cercato più di tanto. Negli anni Sessanta la corrispondenza si interrompe. Il perché lo spiega lo stesso Sciascia nel libro “Nero su nero”, di cui accanto pubblichiamo un estratto.

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“Ho cercato ieri – e fortunatamente ritrovato nel disordine in cui stanno le mie cose – il foglio ingiallito del giornale ‘La libertà’ in cui Pasolini pubblicò il 9 marzo del 1951 un articolo sul mio primo libretto. […].
Comunque, da quel momento siamo stati amici. Ci scrivevamo assiduamente e ogni tanto ci incontravamo, nei dieci anni che seguirono, e specialmente nel periodo in cui lui lavorava all’antologia della poesia dialettale italiana. Poi la nostra corrispondenza si diradò, i nostri incontri divennero rari e casuali […]. Ma io mi sentivo sempre un suo amico; e credo che anche lui nei miei riguardi. C’era però come un’ombra tra noi, ed era l’ombra di un malinteso. Credo che mi ritenesse alquanto – come dire? – razzista nei riguardi dell’omosessualità. E forse era vero, e forse è vero: ma non al punto da non stare dalla parte di Gide contro Claudel, dalla parte di Pier Paolo Pasolini contro gli ipocriti, i corrotti e i cretini che gliene facevano accusa. E il fatto di non essere mai riuscito a dirglielo mi è ora di pena, di rimorso. Io ero – e lo dico senza vantarmene, dolorosamente – la sola persona in Italia con cui lui potesse veramente parlare. Negli ultimi anni abbiamo pensato le stesse cose, detto le stesse cose, sofferto e pagato per le stesse cose. Eppure non siamo riusciti a parlarci, a dialogare. Non posso che mettere il torto dalla mia parte, la ragione dalla sua.
E voglio ancora dire una cosa, al di là dell’angoscioso fatto personale: la sua morte – quali che siano i motivi per cui è stato ucciso, quali che siano i sordidi e torbidi particolari che verranno fuori – io la vedo come una tragica testimonianza di verità, di quella verità che egli ha concitatamente dibattuto scrivendo, nell’ultimo numero del ‘Mondo’, una lettera a Italo Calvino.” (1).

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(1) Leonardo Sciascia, Nero su Nero, Edizione Club, 1992 ( su licenza di Adelphi, 1991), pagg. 177-178. Il libro è apparso la prima volta nel 1979.

 

 

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