Blu

Fotografia di Daniela Gliozzi

 

Riporto il pezzo molto bello di Gianni Montieri, pubblicato il 23 Gennaio 2024 su “minima&moralia” con il titolo Cordoni della poesia n. 12: La fiaba e il blu.

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Leggendo una poesia di Roberto Bolaño, per il canale streaming di «Decamerette», ho involontariamente sostituito in piedi ci sono solo i cordoni / della polizia con in piedi ci sono solo i cordoni / della poesia, mi è parso da subito uno dei più bei refusi di sempre. L’idea di una nuova rubrica è nata quel giorno, un appuntamento che facesse l’esatto contrario di ciò che fanno i cordoni della polizia: avvicinare. Accorciare le distanze. Per ogni numero si parlerà di una, due o più poesie, di vari poeti, cercando un filo comune, facendo sì che versi lontani si tengano per mano.

Prendiamo un colore e innamoriamocene, prendiamone un altro e procediamo alla sua cancellazione, erosione. Facciamo che il colore sia lo stesso, solo che prima è una cosa e dopo ne è un’altra. Prendiamo una donna e un uomo, prendiamo la donna, osserviamola, ascoltiamola. Prendiamo due bambine, due sorelle, due gemelle, una vuole il segreto dei libri, l’altra vuole il segreto della risata, dato dalla persona toccata. Prendiamo il blu e la fiaba, prendiamo la poesia e sciogliamola in prosa, ma non perdiamo la musica. Prendiamo l’amore, prendiamone l’inizio e la fine, prendiamo la crescita e la scoperta. Prendiamo la perdita, il suo senso profondo, che ci piaccia o meno, c’è sempre uno che ci lascia, una che parte, un’altra che muore.

Coloriamo le pagine di blu, seguiamo il ritmo del colore e facciamo che le due bambine corrano, sapendo il dolore, ma verso il futuro. Vediamo chi è la donna che racconta il blu, e chi è l’altra che scrive la fiaba. Sono donne d’America che conoscono il lutto, e il lutto permea ogni cosa, ti avvolge, come l’abito nero che per anni vedevi indossare a tua zia. Oggi il cielo è blu, oggi il blu è una lacrima, oggi la bambina perde sua nonna, due sorelline capiscono che così perdono anche la propria madre. Il dolore esiste e ha molte forme, un linguaggio, un colore, ci spiega Maggie Nelson. L’abbandono esiste, e si manifesta in molti modi, ha una sua grammatica e suona nei piedini di una bimba che corre, ci racconta Louise Glück. E sono due libri, e se dovessimo dire, diremmo, sono entrambi blu, sono due libri e se dovessimo dire, diremmo, sono due lunghe poesie.

Se lo domanda la scrittrice Maggie Nelson nelle prime pagine di Bluets (Nottetempo, 2023, traduzione di Alessandra Castellazzi), un libro atteso in edizione italiana da molti anni. Un libro di rara potenza lirica, capace di evocare e di suscitare empatia come solo poche, pochissime, poesie riescono. Nelson racconta in una serie di prose brevi numerate da 1 a 240 un particolare periodo della sua vita, in cui è sopraffatta dall’angoscia per la fine di un amore e poi per un’amica che sta male. Ogni sentimento che convoglia nel libro: amore, disincanto, paura, dolore, malinconia, nostalgia, depressione, e poi, abuso d’alcool, e, naturalmente, desiderio; ognuna di queste manifestazioni dell’animo, delle scelte che compiamo e delle conseguenze, è declinata, coniugata, rifratta, accesa e poi sbiadita, attraverso il colore blu.

Nelson è una scrittrice e poeta bravissima, il blu è una sua ossessione, ma poi ciò che conta per i lettori è quello che fai delle tue ossessioni. Ecco che in Foster Wallace la depressione e l’intrattenimento assumono tutte le possibili sfaccettature e sono capaci di riunire in un solo paragrafo ferite e divertimento; ecco che in Murnane l’ossessione per l’ippica diventa l’unità di misura per raccontare una vita, a volte al galoppo, altre chiusa in stalla. Perciò il blu è speranza ed è disperazione, è il colore dei sogni di Nelson ed è la sfumatura attraverso la quale vede la vita. Le prose sono bellissime, alternano il presente al passato, le domande alle possibili risposte, il desiderio alle spalle e quello a venire, il dolore per una mancanza e il blu pronto a colorare uno spicchio ancora non visibile di futuro. Parla Nelson, al suo amore finito, all’amica malata, alla lettrice e al lettore, dialoga con gente che ha conosciuto il blu: Joni Mitchell, Billie Holiday, Andy Warhol, Leonard Cohen, Ives Klein. Tutto serve a dire ciò che non può più essere, ciò che è, e ciò che l’autrice non sa ancora se sarà.

Poi c’è la faccenda della lingua e del conseguente gioco tra il nome del colore e la parola che in inglese definisce la persona triste, malinconica, depressa. Bluets diventa un Duets con chiunque abbia a che fare con queste prose, noi dialoghiamo con Nelson e aggiungiamo la nostra parte di blu, come e dove possiamo. «Il passato è passato. Anche quello si potrebbe lasciare così com’è», scrive a metà libro Nelson, e lasciamolo così com’è, diamo una passata di blu e di blue sul dolore e rialziamoci dagli abbandoni.

Queste parole le leggiamo nelle ultime pagine di Marigold e Rose, ultimo libro edito di Louise Glück prima della sua morte, avvenuta nel 2023, il volumetto è edito da Il Saggiatore ed è tradotto da Massimo Bacigalupo. Questo libro è presentato come un romanzo breve o un racconto lungo, ma non è altro che un poemetto sciolto in prose, che sfrutta gli spazi e il respiro della poesia per raccontare una storia, tutto qui, cioè tutto. Le protagoniste sono due gemelle hanno meno di un anno eppur sapendo molto poco, sentono molto, e Marigold è più portata a sentire le parole scritte, come se già fosse a conoscenza del fatto che il linguaggio – la parola scritta – ci salvi. Marigold sente che dentro ciascuno di noi si nasconde un libro, Rose invece percepisce che nella parola detta a voce, nell’abbraccio, nel tocco, risiede il mistero dell’esistenza felice. Glück scrive una fiaba, tenendo ben presente ciò che ci mette in faccia la vita, lo ha fatto in ciascuna delle sue numerose raccolte di poesie, e la vita sempre ci mette di fronte alla perdita, al lutto, al dolore. Marigold e Rose, minuscole e sensibili avvertiranno la perdita con la morte della nonna e un’altra mancanza ancora più dolorosa, quella della madre che dovrà assentarsi per andare al lavoro. La lingua di Glück è fiabesca e magica, a saperla guardare è blue; nel libro parla di affetti familiari, di innocenza, di desiderio di crescita, di disorientamento, di paure. D’accordo affronta di nuovo la perdita e il lutto, ma il linguaggio è nuovo, luminoso, le due bambine ci mostrano come il destino si formi già nei primi mesi di prima e che quello che cerchiamo è una nostra grammatica che ci aiuti a immaginare e ad affrontare il tempo a venire.

Le bambine nella fiaba pensano e ragionano, seppur attraverso l’inconscio, come ragazze in grado di discernere e forse siamo stati così anche noi nelle nostre prime settimane di vita, intuitivi e già custodi di preziosi segreti. «Dovrò respirare per prima, pensò Rose (era il suo primo ricordo). Dovrò insegnarglielo». Si legge nella seconda parte del libro, Rose è la gemella nata per prima, ha sentito per prima il respiro sente di doverlo insegnare a Marigold, ma quell’altro respiro, tra una prosa e l’altra, ce lo insegna (ce lo ricorda) Louise Glück.

E non è respiro quello che insegue Maggie Nelson nelle prose del suo Bluets? E non è blue il sentimento che già provano le piccole Marigold e Rose? E non è poesia quella che fanno questi due libri di difficile definizione? Si tratta di romanzo, dicono di Glück, si tratta di un libro filosofico, narrativo e – infine – poetico, dicono di Nelson. Noi qui diciamo poesia per entrambi i libri e mentre lo scriviamo ci sentiamo in blue, ma non ci dispiace affatto.

 

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