Veronica Raimo e Zerocalcare

La vignetta è stata realizzata da Zerocalcare per “la Repubblica”

 

Zerocalcare lo conosco molto poco perché non leggo fumetti, ma ho visto il film e mi sono divertita a leggere qualche sua intervista, come faccio con quasi tutti i romani, perché voglio sempre capire cosa si fa a Roma, specie ora che non ci vivo più, se è davvero così orrenda o se, come disse più o meno Morici, Roma dà il meglio proprio quando è out. In quanto out, correggerei io. Non c’è molta cultura di élite come quella milanese, o meglio, Roma non è “avanti” in questo come Milano, ma mi vien da sperare che la mia città è così incasinata e anche povera e anche popolare, per sprigionare una potenza creativa che non trovi ovunque. Meno cultura confezionata per la borghesia danarosa (e in fondo, si sa, ignorante), più vita. Mi vien da sperare, dicevo: per questo leggo le interviste di uno come Zerocalcare e ho visto il suo film. E mi è molto simpatico e allora penso a quella creatività romana che mi ravviva la speranza.
Anche Veronica Raimo è una figlia di Roma e solo questo mi spinse a iniziare la lettura del suo libro Niente di vero. Non gli avrei dato una lira e invece l’ho trovato bello. Lo rendono bello l’ironia intelligente e senza reticenze, il discorso pesudoautobiografico profondo e mai noioso, viceversa viscerale, esilarante, netto (si può, nello stesso tempo? Si può….). Lo rendono bello la proprietà di linguaggio e uno stile solido che esalta pagine dal registro perfetto (mi urge dare l’esempio: pag. 121). Solo alla fine parla un po’ troppo, mi sembrò (ma perché troppi romanzi mi sembra che alla fine parlino un po’ troppo?).

“La Repubblica” ha pubblicato un dialogo che ha messo insieme Veronica Raimo e Zerocalcare. L’ho letto e mi è piaciuto e lo riporto qui. È apparso, a cura di Stefania Parmeggiani, con il titolo di “Due come noi inquieti e sognatori“, il 12 febbraio 2022.

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L’ultimo romanzo di lei, l’eterno personaggio di lui, l’autofiction e il G8 di Genova. La scrittrice e l’artista si raccontano.

“La parola autofiction non mi piace, preferisco romanzo”. Dice così Veronica Raimo anche se sul tavolo della cucina, accanto a una tazzina di caffè e al tabacco, c’è il suo ultimo libro, Niente di vero, una storia che Einaudi nel risvolto di copertina definisce “all’apparenza intima”, un monologo che scava nel passato, manipola i ricordi, porta in scena una madre ansiosa e nevrotica, un padre ossessionato dall’igiene, un fratello genio precoce, un ex fidanzato cattolico e un drappello colorito di amici e personaggi pescati dalla sua personale esperienza di vita. Quarantaquattro anni, libri e racconti che mantengono costante l’attenzione sulle ipocrisie della società, Raimo sembra nervosa. O inquieta. Forse non è a suo agio, parlare di sé non è facile anche quando hai scelto tu di farlo e accanto hai un maestro nell’arte di “raccontare i cazzi propri”.

Già, perché allo stesso tavolo è seduto anche Zerocalcare, l’artista romano che da anni utilizza la sua vita e quella dei suoi amici per disegnare storie sulle fragilità di una generazione abbandonata. La sua e anche quella di Veronica. “L’ho conosciuta cinque anni fa durante un’intervista per Rolling Stone e quasi mi ha mandato dall’analista”, racconta lui e un po’ sembra di vedere l’Armadillo, personificazione grafica della sua coscienza, fare capolino in questa casa romana, quartiere Pigneto, dove è stato invitato per parlare non di sé ma di lei, la scrittrice che “con una voce maledetta” lo aveva messo all’angolo: “Mi aveva detto che i miei personaggi esprimevano formalmente una sorta di appartenenza al mondo antagonista ma le loro crisi erano estremamente conservatrici e borghesi, i figli, il matrimonio… E adesso, rispetto a cinque anni fa, va pure peggio perché nelle persone che mi circondano sono iniziati i drammoni borghesi: l’amante, quello che ha i figli a carico e se ne va… Cose che sembrano Lacci di Starnone ma nel mondo dei centri sociali”. Inciampi della vita che nel romanzo di Raimo entrano sì, ma subito diventano commedia grazie allo sguardo lucido e alla scrittura pungente.

Da dove arriva questa voce dissacrante?
Veronica Raimo. “Se sei vissuto tanto tempo con un senso di tragicità imminente, a un certo punto questa si ridicolizza per forza. Se sei cresciuta costantemente con il lutto per un fratello e in realtà questo fratello è sempre vivo, l’ansia dopo un po’ diventa ridicola. Nostra madre viveva come se fossimo costantemente in zona di guerra, ma non era vero. Potevo raccontarlo solo con il registro comico”.

Zerocalcare. “Io non conosco la sua vita e quindi non so il grado di adesione alla realtà di questo romanzo, ma so che l’ironia è fondamentale. Altrimenti t’accolli all’umanità”.

Questo è il come, ma c’è un perché? Perché raccontare se stessi?
V. R. “Me lo sono chiesta più volte. In fondo non mi è successo nulla di eccezionale, c’è stato il lutto di un padre, un aborto, cose che capitano a svariate persone. E quindi, cosa mi legittima a farlo? Forse solo perché quando finisco una cosa spesso sento il bisogno di andare da un’altra parte e dato che l’ultimo romanzo, Miden, era una sorta di distopia, andare da un’altra parte mi ha portato a Niente di vero”.

Zerocalcare. “Io lo faccio perché non so fare altro. Se mi dicessero devi consegnare il prossimo lavoro tra cinque anni, proverei a inventarmi un nuovo personaggio. E lo limerei fino a quando non sono soddisfatto, ma non così, non se deve essere buona la prima”.

Viviamo in un mondo in cui tutti si auto-raccontano sui social. Quanto conta la privacy?
Z. “Quello che conta è la dignità. Io sono una persona che racconta i fatti suoi in continuo e quindi non mi stupisce che lo facciano gli altri, mi stupisco però quando provo imbarazzo e leggendo penso: perché non c’è nessuno intorno che ti dice di fermarti?”.

V.R. “Più che per me, mi sono fatta mille problemi per gli altri. Ho chiesto ad amici e parenti se volessero leggere il libro prima, ma hanno detto di no. Evidentemente ho costruito rapporti basati sulla fiducia”.

Vi ponete dei limiti quando scrivete?
V.R. “Si parla molto di appropriazione culturale, ma sul tema non sono ancora entrata in crisi. Il mio esordio, Il dolore secondo Matteo, aveva un protagonista omosessuale e oltretutto non dichiarato. Non mi sento affatto in colpa. Invece, quando in America è uscito Miden sono stata massacrata. Non che abbia venduto chissà quante copie, ma i pochi che lo hanno letto si sono veramente arrabbiati. Era la storia di una violenza, ma raccontata dal presunto stupratore e dalla sua attuale compagna. Per me era un escamotage narrativo per raccontare le dinamiche di una coppia quando deflagra un’accusa del genere e anche quelle di una comunità giudicante, ma nell’America del MeeToo era inconcepibile che non ci fosse la voce della vittima”.

Z. “L’ho già detto (ride, ndr) io vorrei il Soviet che decide di cosa parlare, una commissione composta da persone che rappresentano varie sensibilità e che abbiano anche il mestiere, che riescano a fare un ragionamento sulle opere di finzione e non solo un discorso politico. Se fanno la commissione io ci sto! In realtà (di nuovo serio, ndr) su questa roba mi piacerebbe veramente confrontarmi con una collettività e non solo con il lettore ideologico. Senza toni processuali”.

Che rapporto avete con il tempo?
V.R. “Da ragazzina ero scandalizzata dalle persone che dimenticavano, la consideravo una mancanza etica. Ora sto cominciando io a perdere i ricordi. Il passaggio del tempo non è solo l’avvicinarsi della morte, l’avere sempre meno tempo davanti, per me è anche avere sempre meno tempo indietro”.

Z. “Come tutte le persone che vivono con la testa rivolta indietro idealizzo il passato. Più volte al giorno penso alle cose accadute tra la caduta del Muro di Berlino e il G8 di Genova e anche tra il G8 e il 15 ottobre 2011, il giorno degli scontri a San Giovanni, della rivoluzione contro banche, politica e capitalismo. Tra Genova e il 2011 mi ricordo mille persone e mille cambiamenti. Invece tra il 2011 e oggi la stasi totale. Penso spesso a cose come queste e le dico ai miei amici e ovviamente nessuno mi viene dietro perché a chi interessa un discorso del genere?”.

Cosa ha rappresentato il G8 di Genova?
Z. “Un incrinamento eterno nel mio rapporto con le istituzioni”.

V.R. “Un trauma che ho interiorizzato nonostante non ci sia andata”.

Il libro di Veronica Raimo è politico?
V.R. “Non lo definirei così”.

Quando Veronica racconta la sua interruzione volontaria di gravidanza non carica di pathos la scelta. Quando descrive “i cimiteri dei feti”, quelli che le associazioni cattoliche antiabortiste definiscono “i giardini degli angeli”, si dichiara indignata, incredula, arrabbiata ma spiega di non sentire alcuna ferita riaprirsi. Tutto questo non è politico?
V.R. “Non l’ho pensato in questi termini, ma se qualcuno lo legge in questo modo sono felice, mi va bene”.

Z. “Io non considero mai politici i libri dei singoli. Credo che lo diventino nella misura in cui attorno a loro si articola un discorso pubblico”.

Quali sono le battaglie fondamentali oggi?
Z. “La questione climatica, anche se non sono la persona giusta per parlarne perché nella mia formazione politica è stata secondaria”.

V.R. “Non era una istanza forte ai miei tempi, ma neanche il femminismo lo era. Il brodo culturale era quello dell’anticapitalismo”.

Per cosa lottavate esattamente?
V.R. “Quando ero ragazzina c’era ancora l’idea che crescere significasse lavorare, comprare casa, preservare il patrimonio di famiglia. Io invece sognavo un mondo anticapitalista e il mio affrancamento passava dall’idea di comunità. I centri sociali erano proprio questo, una comunità che lottava contro modelli sociali imposti”.

Z. “I miei fratelli maggiori, quelli che mi hanno insegnato a vivere, hanno investito tutto in quei modelli antagonisti di socialità e non si sono portati a casa nulla. Non penso però che abbiano sbagliato, penso che a volte le scommesse si vincono e a volte si perdono e forse questa sconfitta non è neanche definitiva: le cose nella vita sono cicliche e carsiche e il fatto che ci siano persone che hanno del sapere può essere ancora una risorsa”.

ll libro. Niente di vero di Veronica Raimo (Einaudi, pagg. 176, euro 18).

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