“Un secchio vuoto che non mi raccoglie”. Da Patrizia Cavalli

Il periodo delle analisi geopolitiche, questo. Ogni periodo ha le sue analisi espresse, spiegate, sulla società, sul mondo.
Polemizzano fieri coloro che, anche stavolta, hanno capito tutto.
Quindi immancabilmente si delinea la posizione uno, poi si delinea la posizione due, poi si delinea la posizione-non posizione, poi si delinea la posizione-tutte le posizioni.
E intanto che fa quello che non ha la televisione, che non ha i social, che non frequenta il bar, che consulta con parsimonia internet, che legge poesie, più che altro, e suona il pianoforte, ma si è sempre, comunque, informato bene, suo malgrado, su tutte le guerre, vicine e lontane, vecchie e nuove, restandosene ovviamente, per lo più, in silenzio?
Quello pensa ancora al bambino Kirill e a sua madre, dopo quasi due mesi. Come è patetico, come è ingenuo, come è retorico…

 

Qualcosa che all’oggetto non s’apprende,
un secchio vuoto che non mi raccoglie.
Tenevo i mesi silenziosi in una trama
che doveva risplendere di voce.
Provavo a dire e mi si sfilacciava.
Non è né rete né mantello, è solo schermo,
io non catturo niente e non mi copre
ma separa un silenzio dal silenzio.
Quell’altro suono labirintico e interiore
esercitato in solitudine per strada
e nei risvegli, non risultava,
non mi si mostrava.

Da Patrizia Cavalli, L’io singolare proprio mio, in Poesie, Einaudi, 1992, pag. 204.

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