Plurilinguismo (1)

Mario Mafai, Trinità dei Monti

 

“‘Garzoni di fornitori non ne avete mai visto in questa casa?’ fece Ingravallo, in un tono di autorità consapevole, e tuttavia fastidito. Dal tedio e dalla gravezza abituale ritirò le palpebre: gli occhi ebbero allora una luce, una sicurezza penetrante. ‘E come no?’ fece la Pettacchioni,’ ‘co sto porto de mare der palazzo?… Qua ce stanno fior de signori, gente de commercio, che se crede, sor commissario?’ tutti sorrisero: ‘de quelli che poco je piace de magnà l’indivia.’ ‘E per chi venivano? Non ricordate?… Chi è che gli portavano la mozzarella a domicilio?’ ‘Mbè, sor commissario, veniveno un po’ per tutti…’ chinò il capo, portò l’indice sinistro all’angolo della bocca: ‘me ce facci pensà.’ Tutti ora annaspavano garzoni con la mozzarella: un subito fervore d’ipotesi, discussioni, ricordi: panieri di vimini e grembiuli bianchi. ‘Giusto… er sor Filippo, qui,’ lo cercò d’un’occhiata: fece come lo presentasse: ‘er commendator Angeloni: der Ministero dell’Economia Nazzionale’ e lo indicò, nel gruppo. Gli altri allora si scansarono e il designato si inchinò, leggermente: ‘Commendator Angeloni,’ proferì di se stesso. ‘Ingravallo,’ fece Ingravallo, che ancora non era neppure cavaliere, toccandosi con due diti l’ala del cappello. In onore dell’Economia.
Er sor Filippo, alto, scuro a soprabito, co la panza un po’ a pera e le spalle incartocchiate e un tantinello pioventi, di viso tra impaurito e malinconico, e al mezzo un nasone alla timoniera da prevosto pesce che doveva fare le gran trombe der Giudizio, a soffiallo, aveva l’aria, per quanto commendatorile e ministeriale, sì, però, più che altro, un non so che… una tristezza, una insicurezza e insieme anche una tal quale reticenza negli occhi, al sogguardare il dottore, il dottor Ingravallo, quasi che temesse di perdere un appiglio… alla prossima caduta del ministero: non caduco, viceversa, fino alli 25 luglio del ’43. Uno strano corbacchione, dio birbo, infagottato in quel suo bavero e in quella sciarpa elegiaca: un chiericone del catasto di quelli neri neri, che annidano di preferenza tra san Luigi de’ Francesi e la Minerva. Impercepiti dal passante distratto e da quello che va de prescia, a ora d’agio, un piede appresso l’altro, sogliono deambulare le loro dirette stradicce, da l’arco de Sant’Agostino e da la Scrofa, le via delle Coppelle o pel Pozzo de le Cornacchie, fin su, a Santa Maria in Aquiro. Alle rare occasioni si avventurano chiane chiane per via Colonna o s’inoltrano agorofobici su li serci de piazza de Pietra, non senza disdegnare la fojetta, e la pizza snobistica der napoletano: e poi pe quer budello de via de Pietra arriveno magari a sfociar sul Corso, ma sabato grasso ha da essere, dirimpetto all’Encicloperdia Treccani, ai più invitanti orologi del gioiellere Catellani. Di quaresima, luttuosi e boffici, si contentano lungheggiar Santa Chiara, sotto ai due globi de’ due alberghi, fino all’elefante e al suo gentile obelisco, e alle vetrine dei rosari e delle madonne: passo passo: oppure, passo passo, riscendono: schivata per un pelo una bicicletta, imboccheno la Palommella e sfioreno er dedietro ar Panteone, già  oramai però sulla via del ritorno, e come un po’ delusi dal crepuscolo.
Da qualche anno il commendator Angeloni s’era trasferito a via Merulana, in seguito  alle demolizioni di via del Parlamento-Campo Marzio. Là ci aveva abitato da sempre. Doveva essere un buongustaio: a giudicare almeno dai pacchetti, dai tartufetti… Pacchetti che per solito li inoltrava lui a se stesso, con gran riguardo e con ogni venerazione, tenendoli orizzontali e in sul davanti, come gli desse il latte: di quelli dei salumai di lusso, pieni di galantina o di pâtè, con il cordino celeste. E qualche volta, del resto, glie li mandavano anche a casa ar duecentodicinnove su in cima; glie li porgevano, come si dice a Firenze. (Carciofini all’olio, vitel tonnato.)”

 

Carlo Emilio Gadda, Quer pasticciaccio brutto de via Merulana, Garzanti, 1990, pagg. 28-29.

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