“Io rileggo la lista dei nomi”. Da Maria Grazia Calandrone

Ne  “Il Messaggero” di ieri Mario Ajello riporta (Il 25 aprile “festa ormai superata”. I ripetenti della Liberazione, l’analisi di De Rita: “Ai giovani non dice niente”) le opinioni di Giuseppe De Rita riguardo ad una festa della Liberazione a suo dire ormai obsoleta, sostanzialmente perché i giovani non ne sanno più nulla. Viene proposta anche l’opinione di Emilio Gentile, il quale risponde che “trattare così sbrigativamente come anticaglia una tappa fondamentale della vicenda italiana” è “sbagliato”, e continua con l’affermare che se ai giovani il 25 aprile non dice più niente significa che tra di loro “dilaga l’ignoranza, non vuol dire che il 25 aprile oggi vale poco.”. E’ inutile che io sottolinei da che parte sto, ed intanto onoro la mia festa della Liberazione con un ricordo duro, messo in versi da Maria Grazia Calandrone nella poesia Guarda che la carne non tocchi la carne (1).
Credo sia anche interessante (e lo segnalo) il ricordo che fa del suo 25 aprile (“che si scrive ancora maiuscolo”) Maurizio Maggiani, in uno scritto molto bello apparso ieri su “la Repubblica – Robinson” .

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Guarda che la carne non tocchi la carne
(Sant’Anna di Stazzema, 12 agosto 1944)

 

Quella mattina presto, camminando
come quando dal colle si capisce che tutto il paese è illuminato dal primo fuoco
delle cucine, sentimmo rintoccare le campane
e abbiamo atteso.
Quando rincasarono gli uomini ci furono sobbalzi
di corpi e vetro e il suo sguardo divenne una terra disabitata.

In tanti aprivano la bocca e vennero
arsi com’erano. Una catasta di 100
bambini venne bruciata con il lanciafiamme
sulle strade
con le rose, quella strada bellissima
con le rose. Io rileggo la lista dei nomi
fino a vedere emergere ogni sorriso
dal suo rigo di cenere.

Il governo mi diede 47.250 lire
per risarcirmi del fatto
che a sette anni avevo avuto addosso come uno spruzzo d’acqua
benedetta mia madre. La sua testa
come un bello strumento scomposto. Torno dietro la casa tutti i giorni
per via dell’orto
e per sentire come apertamente si comportano i laghi, i migratori.

La domenica riempie di sole le mura
del paese e nell’odore di pane
ricordiamo le scariche sui campi
lavorati e lei nascosta tra le damigiane e quanto forte
la sua voce macchiasse l’aria chiamando il mio nome
perché partiva poco sopra la cassa di risonanza del cuore.
Tutto il suo corpo venne rivelato dal mio nome.

Io in una solitudine perfetta porto
in me muro con crepe
nelle quali scorre
purissima la gioia ma non cercarmi
altrove, sono queste parole.

23 ottobre 2008

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(1) In Nuovi poeti italiani, a cura di Giovanna Rosadini, Einaudi, 2012, pag. 86.

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