“Ho solo una tazza di lacrime di feto”. Da Anne Sexton

Prima di tutto, ciò che la poesia di Anne Sexton non fa. Sexton non mostra un’espressività improvvisata, quella irritante posa che non risulta, a priori, neanche tentativo sperimentale, perché non ha fabula.
Sexton azzarda figure estreme e comprensibili, strane e del tutto appropriate. E afferra l’ironia per la gola, la piega al disegno folle, che è senza dubbio serio, perché Sexton è poeta che non può permettersi di giocare a fare la pazza.
Esserlo, non necessariamente rende vero un poeta, ma un poeta vero, alla sua fabula ferma, sicura, alla sua “avventura” (Contini), vi attinge da poeta.
C’è il “malgrado” di cui parlerebbe Jaspers come fece su Van Gogh, un dolore, una ‘cosa’ inserita nell’altra ‘cosa’ che è “il movimento di un ingranaggio formale” (ancora Contini). Solo il poeta propriamente detto può infatti concepire la manifestazione del suo sguardo, dello sguardo, cioè, di chi ‘vede’ il fenomeno nel proprio noumeno.
Tutto ciò, ad esempio, nella poesia che qui propongo, inserita in un libro in cui le poesie, per fortuna, sono praticamente tutte così.

 

Basta, basta con la tua scienza, Doktor.
Non mi imburra.

Dici che il mio cuore è malatissimo.
Dovresti avere più rispetto!

Tu e la tua ventosa sdolcinata.
Tu e i tuoi fili e elettrodi

attaccati alle mie caviglie ai miei polsi,
che risucchiano il seno biologico.

Tu con la tua macchina zigzagante
che va su e giù come la Borsa.

Dammi le chiavi Phi Beta Kappa che ti rigiri sempre fra le dita,
mi ci faccio una corona d’oro per un molare.

Prendo una pallottola, se credi,
e mi ci faccio un’appendice perfetta.

Dammi un’unghia, mi ci faccio una lente.
Il mondo è stato sempre lattiginoso.

Prendo un ferro e lo tengo premuto
sulla mia ernia del disco finché non l’ho stirata.

Però manda via il carcinoma di mia madre
perché ho solo una tazza di lacrime di feto.

Manda via l’emorragia cerebrale di mio padre
perché ho solo un misurino di sangue in mano.

Manda via l’osso del collo rotto di mia sorella
perché ho solo un righello per steccarlo.

Esiste un qualche apparecchio per il mio cuore?
Ho solo un aggeggio che si chiama vibratore.

Fammi dilatare come un debito insoluto.
Ecco qua una spugna. Posso strizzarmela.

O cuore, cuore rosso tabacco,
batti come una chitarra rock.

Sto sulla nave, a prua.
Non sono più la suicida

con una zattera e un remo.
Herr Doktor, non morirò più

per fare dispetto a te. A te,
che sciaguatti nel mal di mare coi piedi per terra.

 

Anne Sexton, Il libro della follia, La nave di Teseo, 1972, pagg. 19 e 21. Traduzione di Rosaria Lo Russo.

 

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