Opposizione please

George Grosz, Der Agitator

 

Non voglio che il mio blog si trasformi in qualcosa di diverso da ciò per cui è nato. Quell’ “altro” a cui fa riferimento la sua definizione dovrebbe essere in secondo piano rispetto alla letteratura. È vero che “altro” è tutto il resto e quindi copre una sfera di argomenti molto più ampia rispetto a quelli letterari, ma pare che da un po’ di tempo a questa parte esso stia sempre più significando solo una cosa.
Ebbene, io vorrei innanzitutto precisare che Salvini c’entra molto poco. Le tematiche di tipo culturale che mi stanno a cuore sono le stesse da sempre e alcune pagine riportate qui pescate dalla mia adolescenza lo dimostrano. Soltanto che ora esiste una situazione che vedo più oscura che mai, perché mi sembra davvero che si stia imponendo una amplificazione del consenso senza precedenti rispetto ad anni meno recenti (agli ultimi trenta anni?) a ciò che per me è stato sempre semplicemente bruttura. Forse sbaglio, ho un’altra età, punti di osservazione diversi. Ma un ministro della Repubblica, un ministro dell’Interno, aveva mai espresso prima un razzismo così smaccato, così esibito e orgoglioso nel suo odio, nella sua incredibile stupidità? La signora che avrebbe usato parole violente contro di lui è definita per il gruppo etnico di appartenenza e, in quanto tale, insultata e, in quanto tale, minacciata di vendetta e di distruzione. “ A te, zingaraccia, manderò le ruspe”, viene detto in modo esplicito e con una rabbia incontenibile. Chissà quanti episodi più o meno recenti non conosco, poiché non guardo la tv e solo da poche settimane mi metto a curiosare sul web, passatempo mai prima di ora coltivato.

Insomma, la mia urgenza è in effetti quella, e il sentimento che la scatena ha le sue esigenze, quindi io vorrei continuare ad assecondarlo, e se leggo qualcosa che certe problematiche sa toccarle, secondo me, in modo efficace, beh, io me lo appunto e lo propongo anche su questo blog.
Lo farò senz’altro anche con Giuseppe Savagnone, che su www.tuttavia.eu scrive articoli che trovo particolarmente lucidi, pacati ed intelligenti.
Il punto è che mi piacerebbe capire come davvero si possa sperare in un progresso della società che non sia solo sviluppo, secondo quella famosa e fondamentale distinzione che ne fece Pasolini (1).
Vorrei capire, proprio in questo momento storico, così nodale per me, per la ragazza che sono stata, per quello in cui ho creduto e puntato fin da quando ragiono, se posso ancora credere nella comunità umana o se i sentimenti che ritengo “naturali”, “umani” siano purtroppo ormai da considerare quelli davvero mostruosi, nel senso etimologico del termine, cioè che suscitano una meraviglia, che si stagliano nella loro diversità come un unicum.
Penso che Adorno questo definisse quando spiegava che tutto è perduto, dopo la Shoah. Questo scrisse, in Minima moralia: “La logica della storia è distruttiva come gli uomini che produce: e dovunque tende la sua forza di gravità, riproduce l’equivalente del male passato. Normale è la morte.” (2), a conclusione di un discorso che senz’altro a breve proporrò in un altro post, parlando, lo dico francamente, ancora di razzismo. La distorsione, la perversione è la marginalizzazione di ciò che è peculiarmente umano, è ridurlo ad un unicum.

Ecco, insomma, perché un nuovo articolo su Salvini, quello di Giulio Cavalli, apparso il 3 agosto su https://www-linkiesta-it, dopo uno scritto da me ed uno proposto da altro autore.
Spero sia l’ultimo, e d’altra parte lo propongo proprio perché si può considerare conclusivo del ragionamento iniziato con l’articolo di Alessandro Robecchi.
Cosa fare, in concreto, a questo punto, sviscerati fenomeno e cause? Cosa dovrebbe fare una opposizione degna di questo nome, politica e culturale? Perché non riesce a farlo, di qualsiasi cosa si tratti?

Prima dell’articolo – che, voglio sottolineare, è eccezionale – desidero infine precisare che sono felice di potermi, spesso, limitare a riportare pezzi senza conoscerne affatto gli autori. Mi sono concessa questa libertà che credo serva molto. Serve al fatto che certe parole, lette da me, non hanno bisogno di essere filtrate da un nome, le parole possono presentarsi e fluire libere, quando mi convincono o quando, pur convincendomi in parte, sono per me stimolanti.


1. Pier Paolo Pasolini,  Sviluppo e progresso, in Scritti corsari, Garzanti, 2000, pag. 175-178.
2. Theodor W. Adorno, Minima moralia. Meditazioni della vita offesa, Einaudi, 1994, pag. 56.

 

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Come si combatte Salvini (senza fare un favore a Salvini)

di Giulio Cavalli

Siete indignati dalla conferenza stampa al Viminale Beach? Vi siete rotti le scatole delle intimidazioni e delle semplificazioni? Bene, ma non basta. Alcune idee per andare oltre all’indignazione. E provare a batterlo.

Benissimo. Abbiamo visto di tutto. La conferenza stampa al Viminale Beach è solo l’ultimo episodio di una lunga catena di bassezze nefande che hanno costellato il salvinismo con tutti i suoi mille rivoli di bile, di gradasseria, di prepotenza, di ignoranza, di bugie, di cattivismo malcelato e di rimandi al fascismo. Benissimo, siamo schifati, sì, e siamo fieri di essere schifati, il partito degli schifati si è sedimentato sul fondo di questo governo breve e lungamente incompetente, ma Salvini intanto cresce nei sondaggi e si accorda in perfetta armonia con le viscere di un Paese che non vedeva l’ora di poter essere finalmente pessimo senza sentirsi giudicato, anzi addirittura premiato per la propria empietà. E allora forse sarebbe il caso di capire come scostarsi da Salvini e dal suo verbo grondante per non rimanere incagliati nell’opposizione fatta sempre di condanna breve, cento volte al giorno, delle sue intemerate. Forse sarebbe il caso di mettersi d’accordo che il salvinismo non si sconfigge abbattendo Salvini: lui è solo la ghiandola esatta per veicolare la bile, forse non andrebbe preso troppo sul personale per non dargli spessore che non ha.

Primo: dettare un’altra agenda, ad esempio. Decidere una volta per tutte che l’agenda politica non possa essere dettata da un bullo nei posti di comando, con i suoi stiletti che frugano tra la cronaca nera di provincia in cerca di un nero da chiamare negro o di una zingara da rivendere come zingaraccia. L’Italia è quel Paese pieno di calli che lavora fino a sera inoltrata, rientra a casa zeppa di preoccupazione e trova comunque l’energia di essere genitore (e chi se ne fotte di che sesso e con che sesso per compagno) e si arrampica su un mutuo che diventa sempre più difficile, intrisa di tristezze per un regalo che non ci si può permettere o una vacanza che non si riesce a regalare. Il lavoro, solo per fare un esempio, è una prateria che Salvini non sa abitare per mancanza di strumenti politici ma anche l’economia e la politica internazionale sono campi in cui il salvinismo fallisce goffamente.

Secondo: non cadere nella tentazione di usare il suo vocabolario. All’odio non si risponde con l’odio. Meglio: non si usa il vocabolario del proprio avversario se è un accumulo tossico di veleno sparso in giro. Non siamo un Paese che vive solo sul desiderio di schiacciamento ma siamo un Paese che anela a un’alternativa e la comunicazione è politica come la masticazione è la prima fase della digestione. Trovare parole nuove rifuggendo dalla banalità dei segni lasciati in giro dal Capitano leghista è il primo passo per un’ecologia lessicale, intellettuale e quindi anche politica. Non si tratta di essere buoni, si tratta di essere altro rispetto a un codice verbale che sembra l’unico possibile.

Terzo: concentrarsi sulle soluzioni. Ribadire quanto siano sbagliate le azioni di Salvini è certo un dovere costituzionale (spesso) ma il cittadino oltre alla condanna vorrebbe sapere quale sarebbe un’altra soluzione. Se il problema è creato ad arte ci si impegna per smentirlo con i numeri e con i fatti, smettendola di lamentarsi della mancata credibilità, impegnandosi a costruirsela e se il problema è reale si propone una reale soluzione che sia comprensibile, possibile e ben descritta. Scriviamolo chiaro: chi è spaventato dall’immigrazione in tutti questi anni non ha ancora capito come risolverebbe il problema la sinistra. E forse è un problema della sinistra, a meno che non si voglia insistere nel dare degli ignoranti a tutti quelli che non capiscono, politicamente un suicidio.

Quarto: fare opposizione. Ma fare opposizione opponendosi non su Facebook o con qualche tweet sdegnato. C’è gente profumatamente pagata per concentrarsi su tutti i metodi di opposizione possibile che pensano di potersi limitare allo sdegno: no, non è così. Opporsi significa mettere in campo tutti gli strumenti, fino a tirare la giacchetta al Capo dello Stato, per sottolineare le incongruenze e le bugie. Non abbiamo bisogno di politici che ci dicano che la situazione è grave, ce ne siamo accorti, grazie mille.

Quinto: fare memoria. Che forse sarebbe meglio scrivere fare cultura ma ogni volta che si pronuncia la parola cultura qui si spaventa qualcuno. Comunque questo è un Paese che ha bisogno di Storia con la esse maiuscola, di studiare e di comprendere e condividere, di prendere coscienza del fatto che si stanno ripetendo errori già fatti che abbiamo pagati carissimi. Essere semplici non significa essere banali: si può essere comprensibili senza rinunciare a essere profondi e se non ci riuscite non siete una buona classe dirigente. Per favore, datevi una mossa.

Sono solo cinque idee di decine che ne potrebbero uscire ma decidere fin da domani di mettere in pratica un altro comportamento potrebbe essere utile per segnare un cambio di passo. Anche per smettere di essere il controcanto di Salvini e provare a proporre una melodia. Così, per dire.

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