Lui è così

                                 Luigi Montanarini, L’apoteosi del fascismo

 

Su “la Repubblica” dello scorso 8 giugno è uscito un articolo di Ilvo Diamanti, Cresce il peso dei cattolici che votano Lega.
L’autore tratta della manifestazione, da qualche tempo, da parte di Salvini, di “atteggiamenti religiosi”, in virtù della quale abbiamo assistito ad un mescolarsi di varie passioni insieme a quella ‘religiosa’ (quella per il calcio, ad esempio), in un intrico di sacro e profano, che però, secondo Diamanti, è solo apparente e risponde in verità ad un preciso intento comunicativo.
Sono d’accordo con questo punto di vista. L’uso dei riferimenti religiosi, la loro ostentazione, perché di questo precisamente si parla, accostati a materiali più grossolani, da parte di un politico in cerca di consenso, ha finalità scontate.
Non credo, però, che tale atteggiamento sia frutto in modo esclusivo di un calcolato intento politico.

In primo luogo, a mio parere, ci troviamo di fronte ad un individuo non in grado di scindere emergenza politica da emergenza personale. In secondo luogo credo che la convivenza di sacro e profano sia la peculiarità di un modus sentiendi estremamente diffuso e di cui Salvini è esemplare emblematico. Credo quindi che il suo successo nasca innanzitutto da una identificazione.
Su questo blog ho pubblicato lo scorso 2 aprile l’articolo di Alessandro Robecchi Salvini, il condensato delle passioni medio-basse del Paese, che io presentai ai miei lettori sotto il sopratitolo di Ometti forti, espressione desunta dall’articolo stesso. Quella di cui si parla lì è la parte della personalità dell’uomo di potere tanto venerato da molti, la quale non dà accesso, o almeno non del tutto, diciamo, all’identificazione.
La parte identificativa è invece proprio quella convivenza di due impulsi, entrambi ereditati dall’infanzia, quello ludico (la passione per il calcio, o per personaggi da spettacolo, anche se capi di Stato, è nient’altro che passione ludica) e quello dell’amore fatale per il Protettore, per il Consolatore, per l’immensa figura materna-paterna che ci ridimensiona a bambini in cerca dell’Altro forte e assoluto a cui affidarci ciecamente e a cui ciecamente obbedire.
Ilvo Diamanti, a riguardo, afferma che “la combinazione di sacro e profano […] evoca sentimenti diversi. Espressi da pubblici diversi. In particolare la domanda di sicurezza. Di rassicurazione. Ma anche di ‘fede’”.
Sì, i pubblici sono diversi, ma sbandierano in comune, forte e irrisolta, l’eredità appena detta, per cui il connubio sacro-profano è nucleo irriducibile nelle coscienze che hanno scelto Lega. “Un popolo animato dalla fede”, dice appunto Diamanti, un popolo per sua stessa definizione “‘fedele.'”
Ma ciò non penso sia particolarità del Nord-Est, come afferma lo scrittore. E ‘ ovvio che se la Lega e poi Salvini hanno iniziato e protratto molto a lungo la retorica del primato padano e del Nord, i consensi non potevano che rallentare di molto in altre parti di Italia, specie le più meridionali. Ma se c’è stato da qualche tempo a questa parte un reale e radicale spostamento e ben studiato, è proprio questo: dalla retorica della superiorità settentrionale alla retorica di quella italiana.
Mi sembra proprio di precisare l’ovvio. Ma da tale ovvia premessa deduco conclusioni diverse sulla presente politica salviniana rispetto a quelle di Diamanti. Salvini non poteva studiare e calcolare, più di un tanto che appare scontato, l’uso e l’ostentazione della fede religiosa, perché lui non può prescindere da se stesso (neanche se lo volesse, mi sembra), ed essendo lui così, vive la religione come moltissimi italiani fanno, che sono poi moltissimi di quelli che lo hanno votato. Vivono cioè quel mescolamento che fa salva la fedeltà, che fa salve le premesse infantili dalle quali non si è in grado di emanciparsi e che allo stesso tempo, nel farle salve, le riutilizza per dare loro un significato molto diverso dall’universo esistenziale di chi prova ben altri tipi di sentimento religioso. La presenza ludica ha il potere di sovrastare e ridimensionare l’altra, che del rapporto col sacro mantiene solo l’imprescindibile e consenziente sottomissione all’Autorità, la stessa che, nel quotidiano, induce ad approvare posizioni di ogni genere, se espresse da personaggi particolarmente e malamente autorevoli, e induce a farlo non per una calcolata e lucida convenienza, ma per una forma perversa di profonda convinzione (è il fanatismo, no?).
I soggetti che accettano quella condizione non possiedono viceversa, come è logico che sia, convinzioni ‘libere’, ed è esattamente per questo che non superano la fallace strada – e necessaria solo fino ad un certo momento della vita – che li conduce a tali annebbiamenti, e finiscono così per provare, come ha scritto Alessandro Robecchi, “l’irrefrenabile ammirazione verso colui che vince la rissa per il parcheggio, che salta la fila, che abbaia solo a chi non può rispondergli a tono”. Mi convince soprattutto ques’ultimo esempio. Ho subìto oppure ho assistito molte volte all’abbaiare di certi che amano assumere il ruolo di ‘duri’ mentre alzano o impostano la voce, aggrediscono accusando, indirettamente o addirittura direttamente, se pure sempre con un certo stile, di qualunque cosa si parli. E’ sufficiente non essere con loro d’accordo e cominciano a imporsi non con le pure argomentazioni, ma con quella strana foga che ti impedisce di rispondere con la tranquillità che immaginavi alla portata di quello scambio. Quando cominciano a tralasciare l’oggetto del discorso, spesso arrivano a farlo per parlare di te, di ciò che sei, di ciò che fai, di ciò che hai fatto, di quello che hai detto di assolutamente superfluo rispetto a quell’oggetto e di come lo hai detto. E l’intento di tutto ciò è quello di farlo sminuendoti perché sminuire l’avversario è l’unica forma di vittoria che concepiscono, non dubitando affatto che può esserci una vittoria della logica, dell’etica e della dialettica affermate con assoluta pacatezza. Parlo di cose che conosco molto bene, avendole, ripeto, spesso subìte. Io non so rispondere a tono.
Le ho subite anche per iscritto. Qualche anno fa mi capitò di dissentire da un articolo di un blog che ogni tanto frequentavo e che credo avesse l’ambizione di proposi come snodo di dibattiti culturali. Non fui di certo attaccata in modo diretto, metodo troppo poco intelligente, ma di fatto si accostò – e forse si tralasciò – al merito delle mie opinioni un atteggiamento ironico e sarcastico verso il mio modo di ragionare. Ma ne riparlerò lungamente in un altro articolo.
Evidentemente piace a se stesso, oltre che a piacere agli altri, colui che sa imporsi in questo modo. Non vorrei apparire ‘la solita’, ma mi sembra abbastanza scontato che in quanto donna e in quanto donna timida, e in quanto persona che vorrebbe esprimerle, le sue convinzioni, a volte letteralmente tremando se lo fa davvero, io sia un bersaglio abbastanza appetibile per gli “ometti forti” che si incontrano nel quotidiano, anche se, vorrei aggiungere, onde evitare equivoci ingenui, quegli “ometti forti” sono spesso donne. E vorrei aggiungere che quando io stessa sono scaduta in tale forme di aggressività non ho potuto fare altro che prenderne atto e vergognarmene.

Ma vorrei tornare a ciò che sta accadendo riguardo al rapporto tra la maggior parte degli elettori italiani e il nostro massimo leader (in quanto a popolarità) del momento. Lui è così. Si è accorto di essere così non posso bene precisare da quando. Dovrei ricorrere ad una memoria (la mia) che non è stata rafforzata da alcun tipo di ‘ricerca’. Per me Salvini è ad esempio quel tizio che anni fa (non posso dire quanti, neanche in modo approssimativo) parlò dei posti della metro riservati ai soli milanesi, e che ne ha dette parecchie altre del genere. Per me è quello che si è confermato per come l’ho sempre avvertito, in un video visto da me recentemente, in cui sollevava la birra (mi pare) cantando insieme ai fedelissimi (immagino, e notare l’aggettivo da cui ho tratto il superlativo) presumibilmente in un dopo partita: “Senti che puzza, scappano anche i cani, stanno arrivando i napoletani. O colerosi, terremotati, voi col sapone non vi siete mai lavati. Napoli merda, Napoli colera, sei la vergogna dell’Italia intera.”
Cosa c’è da aggiungere? Forse che io, intorno ai diciassette anni e tifosissima della Roma, rimasi scandalizzata dalla identica canzone che sentii allo stadio cantare dai giallorossi durante un Roma – Napoli e che, ricordando di un bel gemellaggio di pochi anni prima coi partenopei, mi sentii piuttosto affranta e che scrissi una lettera ad uno dei ‘capi’ degli ultrà, chiedendo: ma come, e il gemellaggio di cui andavo tanto orgogliosa? Non è questo razzismo, ragazzi?
Lui mi rispose, e lo fece con tanta gentilezza, devo dire, e lo fece anche stigmatizzando certi cori ma affermando che anche i napoletani si erano comportati male, che avevano fatto questo e quello, ecc., ecc. E’  una lettera che conservo, potrei andare anche a rileggela, ma non è importante la citazione testuale, è significativo invece il ricordo di una ragazzo che immaginavo gentile ed equilibrato, e simpatico nel suo far parte degli ultrà della Roma, e che la sua risposta così ingenua, anche se non poteva soddisfarmi, me lo rendeva ad ogni modo meritevole di una serena compassione.
Potevo immaginare che sarebbero arrivati giorni in cui l’indulgenza nei confronti della semplicità di un ragazzo qualunque sarebbe stata forzatamente equiparata al disprezzo per le cose fatte da un quasi capo di governo?

Lui è così e non c’è molto di studiato, secondo me, o almeno non così tanto in rapporto a quello che lui potrebbe ottenere grazie agli esperti di comunicazione di cui, a detta di Diamanti, si è circondato. Ha solo ad un certo punto capito, più chiaramente che mai, che bastava continuare ad essere così. Ha mai dichiarato, lui, di essere una persona autentica, nel senso che lo ha mai rivendicato come bel pregio di cui andare fieri? Mi pare dovrebbe averlo fatto almeno una delle sue fidanzate, se ricordo bene ciò che ho leggiucchiato in qualche rivista di gossip. Ebbene, se non l’ha fatto dovrebbe assolutamente farlo. Manderebbe in visibilio i suoi innumerevoli fan. Lui parla netto, brusco, pane al pane e vino al vino. Se gli scappa la frase ad effetto perché contraria a forme di correttezza ormai obsolete, tanto meglio. Dal suo punto di vista credo sia fiero di sentirsi una specie di bambino della fiaba che dice: “Il re è nudo”, perché dal suo punto di vista la sua ragione, le sue verità sono la scoperta geniale di uno che non sa starsene zitto. Lui è compiaciuto quando la spara grossa. Dice le cose che vorrebbero dire in tanti, non sul mezzo pubblico affollato (io frequento molto i mezzi pubblici affollati, sono una esperta dell’umanità che li utilizza) o al bar, ma di fronte ad una platea di milioni di persone. Ha capito di piacere per questo, perché molti di quel pubblico si identificano in lui, perché in tanti che non possono identificarsi in lui lo sentono come quello forte, come il duro che ha finalmente il coraggio di dire cose che fino a poco tempo fa non si potevano dire. Lui, il forte, è l’autorità di cui tanti hanno tanto bisogno. Ma lui stesso ne ha bisogno (l’identificazione è davvero totale: se non si è, si vorrebbe essere): ecco che si rivolge all’Altro, ecco che il suo bisogno dell’ Altro onnipotente e assoluto è semplicemente espresso, nella sua sacrosanta fiducia nel suo essere se stesso. Credo che in questo periodo più che mai lui senta in sé quella particolare forza che gli fa dire a se stesso, (immagino anche inconsapevolmente): “Non ci stare a pensare, non ci stare a ragionare, più sei istintivo e più questi ti adorano”.
Io credo questo. Non che non ci sia lo studio, il calcolo, per cui si chiamano gli esperti. Di certo non potrebbe essere altrimenti. Ma come altri, come un Berlusconi e come tanti, penso che scatti un qualcosa (è la megalomania, no?) per cui il politico avverte che piace esattamente per quel che è, nello stesso momento in cui la gente avverte che quel politico è esattamente ciò che sembra.
Da quando lui ha capito che questo funziona, si è potuto permettere meno calcoli, non di più. Il primo tra tutti, ripeto, è quello scontato: farsi eleggere da tutti gli italiani, non solo dai ‘superiori’. Trovare il nemico comune non è stato neanche un calcolo. Non c’è stato bisogno. Salvini non sembra concepire l’essere umano a prescindere dal luogo e dalla realtà da cui proviene. Ma è ovvio che un conto è sentire, un conto è esprimere: lo slogan “prima gli italiani” è efficace perché appare ragionevole. Non contestabile da chi è razzista ma continua a dirsi che non lo è. Quello slogan dice e non dice. Va bene per moltissimi, anche se non per tutti. E’ come per il rosario. Tanti non credenti avranno apprezzato ugualmente, perché è il gesto del duro timorato di Dio e figlio devoto della mamma Madonna, che piace. E’ bullo ma è buono, non dimentica di maneggiare il rosario neanche quando urla le sue frasi dissacranti. “Prima gli italiani”, significa: 1) ho una responsabilità di governo, sono una persona seria, 2) dico prima, quindi ci sarà un poi, odio i buonisti ma in fondo lo sono anche io un po’, perché ci sarà un dopo per i poveretti stranieri, meglio dopo che mai, 3) risolve, come tutti gli slogan, tutto ad un’unica formula, e quindi in questo caso la formula sta nella questione di nazionalità. Cioè a dire, se la frase potrebbe essere ragionevole nel contesto di un discorso privato, è altamente pericolosa nel contesto del ruolo pubblico e politico: perché viene riassunta e semplificata una problematica complessa con una questione di nazionalità.
Alle volte ha voluto smorzare (i bambini salvatori dell’autobus, la professoressa sospesa…). Questo è un altro aspetto del suo calcolo, non tirare troppo la corda col bullismo che piace: l’incanto si potrebbe spezzare. In Salvini mi pare studiata tutta quella parte della sua comunicazione che può il più possibile ricondurlo al ruolo del padre pietoso per tutti quegli italiani che lo adorano per la sua ‘forza’. Ma allora mi contraddico, lui non è come davvero appare?
Passi il calcolo sui meridionali, ma riguardo a quest’ultimo aspetto? Lui si sente o no davvero il padre di tutti? E’ ovvio che sì. L’autoritario e prepotente approvato si trasforma sempre in un padre benevolo. I due ingredienti necessari perché ci sia un padre benevolo sono infatti entrambi presenti: 1) la durezza, 2) il consenso. Il duro amato si trasforma nel padre indulgente e il padre indulgente si apre al diverso, allo smarrito, allo sfigato. Quindi, il calcolo sui meridionali è così smaccato da divenire una cosa, anche quella, scoperta e quindi autentica: sì, in fondo mi sento un padre protettivo e benevolo, non sono fars’anche quegli sfigati dei meridionali italiani da salvare dalle orde incontrollate, da salvare dagli squali dell’Europa e da tutti gli altri nemici miei, della Lega e del Nord? Ma sì, poverini, mi hanno anche votato in massa, ma sì, cosa vuoi che mi facciano di male, in confronto al bene che mi è arrivato dai loro voti? La stessa dinamica avviene con qualche straniero redento, ovviamente. Per questo io credo che il vero Salvini continui a considerare inferiori i meridionali quasi come prima…

Non sono convinta che “il richiamo alla religione, ai cattolici, dunque, appare un tentativo di radicarsi in un terreno dove le Leghe, che hanno preceduto la Lega di Salvini, sono sorte e cresciute. Sulle tracce della Dc.”. Credo invece, innanzitutto, che le ‘radici’ ‘cattoliche’, appartengano all’Italia intera, specie quella provinciale. E riconfermo in secondo luogo ciò che dicevo prima, non è stato il sillogismo “Pedemontania”, cioè “patria della Lega”, insomma il Nord-Est = radici democristiane = terreno fertile per la vittoria della Lega e conseguente calcolo, soprattutto odierno, da parte del suo leader; ma è stata l’identificazione di tanti italiani (provenienti da ogni parte di Italia e da ogni condizione sociale) con la soggezione citata prima.
I cattolici che hanno votato Lega sono aumentati soprattutto perché sono aumentati gli elettori della Lega. Confermano questo fatto gli stessi dati riportati da Diamanti, se li ho ben decifrati (rapporto cattolici intenzionati a votare Lega ed elettori leghisti in generale 27/32%, ora; 12/17%, alle politiche del 2018). Che poi l’elettorato cattolico, nell’arco dello stesso tempo, sia parecchio diminuito tra gli elettori degli altri importanti partiti non mi sembra significativo ai fini della tesi dello scrittore.
E’ vero che Salvini sta ora maggiormente accentuando l’accostamento ai simboli cattolici. Ma credo si sia innescato più che altro un circolo virtuoso in favore della Lega. Non ho alcun dato alla mano ma a occhio e croce direi che molti di quei ‘cattolici’ che ora hanno votato per la prima volta Lega, in passato lo abbiano fatto per Forza Italia (e, rispetto alle ultime politiche, per il Movimento 5 stelle).
Perché bisogna capire di quali ‘cattolici’ si parla. Quelli per Forza Italia, ad esempio, o quelli più recenti per altri partiti di destra e per il Movimento 5 stelle, erano voti in gran parte alla moda. L’elettorato che vota ciò che fa più rumore è anche un elettorato che cambia tempestivamente idea, come spesso cambia la provenienza del rumore.
L’elemento ‘cattolico’ in mano ad un certo tipo di comunicazione politica torna spesso a farsi sentire in Italia perché esso esiste come fondo latente nell’anima dell’aspirante eletto così come nell’anima di una moltitudine di elettori. Per questo motivo è sufficiente incoraggiare queste persone, il cui imprinting indelebile non potrà, prima o poi, smentirle. E’, insomma, solo la solita questione di tempo.

Sto leggendo uno strano libro uscito ora, Sindrome 1933 di Siegmund Ginzberg. In uno dei capitoli iniziali, che si propone di dare un perché al libro, l’autore afferma: “Temo il presente che imita il passato inconsapevolmente, senza volerlo, magari senza neanche accorgersene. Ecco perché sono andato in cerca di analogie.”.
Il tempo presente imita sempre il passato e c’è poco da meravigliarsi delle analogie. Quando un politico sembra intuire questo, sembra attuare un gioco lucido e perverso (“non nominare il nome di Dio invano”) sugli istinti troppo diffusi, troppo di moda. In realtà intuisce, sì, ma non con la facoltà cognitiva, bensì con quella per così dire istintuale. Il suo stesso istinto si adegua inconsapevolmente, per usare il termine di Ginzberg, innanzitutto a se stesso, si dispiega troneggiando e si pavoneggia, si dilata, per poi agevolmente incoraggiare la già avviata e storicamente ineluttabile identificazione reciproca, il circolo patologicamente virtuoso di cui parlavo.
Lo stesso Diamanti conclude il suo articolo con considerazioni che avvalorano come meglio non si poteva la mia tesi riguardo la specificità etica di questi ‘cattolici’ che rappresentano (quasi) la chiave di volta di ogni successo elettorale in Italia.
Lo scrittore riporta il dato di un solo 20% tra gli italiani che “ritengono ‘importante’ l’insegnamento della Chiesa sul piano etico e personale”. Il 40% “lo valuta ‘utile'”, ma ” ‘ciascuno si deve regolare poi secondo coscienza’ . Tutti gli altri lo guardano con distacco”. Qui, in effetti, le cifre la dicono davvero lunga. “La Chiesa, dunque,” – conclude Diamanti – “oggi più di ieri, fornisce un sistema di riferimenti. Un retro-terra. Che i cittadini utilizzano “a modo loro”. Secondo una logica ‘bricolage’. Coerente con questi tempi di ‘voto liquido’. Veicolato dai leader, più che dai partiti.”

Forse è fascista questo che io ho chiamato ‘incoraggiamento’. Questo assecondare se stessi con la fiducia (con la ‘fede’) che si asseconderanno anche gli altri, ‘tutti’…
In fondo la retorica – e di ciò invece sono convinta – prescinde sempre un bel po’ dalle intenzioni del retore.
Dico “forse è fascista” perchè non riesco fino in fondo a comprendere se ciò sia davvero peculiare del fascismo… Ma sì, non credo di poter pensare diversamente sull’ipotesi che questo tipo d’incoraggiamento l’abbia inventato proprio lui, almeno in epoca moderna e già svezzata dall’illuminismo, il Duce.

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