L’ombra di Levi

Jillian Edelstein. Copyright Camerapress/Contrasto

 

Questo articolo è stato scritto da Marco Belpoliti, con il titolo L’ombra di Levi. Jillian Edelstein, e pubblicato sulla rivista “Doppiozero” il 22 maggio 2019. Io l’ho conservato da allora e avrei voluto riproporlo ieri, 31 luglio, in occasione dei cento anni dalla nascita dell’imprescindibile scrittore. Banali problemi tecnici me lo hanno impedito. Sono felice di poterlo comunque fare ora, a mezzanotte e cinque minuti.

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Jillian Edelstein è una fotografa sudafricana. Vive a Londra e lavora nel mondo della moda. Alterna immagini glamour, come quelle che pubblicano le riviste patinate, ad altre più dure. Ha fotografato nel 1986 Primo Levi. Ne è scaturita un’immagine strana, persino paradossale. Lo scrittore alza gli occhiali sopra la fronte. Probabilmente Jillian Edelstein gli ha chiesto di compiere il gesto di levarseli. Levi molto disponibile con chi lo fotografa, l’ha fatto. Si trova controsole e l’ombra della montatura cade sul suo viso e incornicia l’occhio destro; l’altro occhio non si vede. L’effetto è inconsueto: la mano in primo piano, gli occhiali all’altezza della fronte, e il resto del volto non si scorge. Sembra che naso, bocca e barba appartengano a un altro viso. L’immagine è studiata? Probabilmente Jillian Edelstein l’ha colta al volo. Anche a una brava fotografa capita di catturare l’immagine giusta in modo casuale, basta poi saperla riconoscere tra le altre scattate.
Questa fotografia coglie un aspetto decisivo della personalità di Levi: la sua natura centauresca. Il centauro, animale mitologico, è stato assunto dallo scrittore torinese come un emblema a partire da un racconto, Quaestio de centauris, pubblicato nel volume di racconti Storie naturali (1966). Natura doppia dell’uomo-cavallo e doppia identità di Levi: scrittore e chimico, testimone e scrittore, italiano ed ebreo. Due nature nella medesima persona. Un dualismo continuato per decenni, dopo l’esordio del 1947. Ne soffriva Levi? Probabilmente sì, dato che due identità insieme creano, come nel caso di Trachi, il protagonista del racconto, vari problemi. La natura anfibia l’ha costretto a destreggiarsi tra due opposti; tuttavia Levi non li ha sentiti come alternative secche, piuttosto come componenti della propria personalità di uomo e scrittore. In un’intervista del 1963, subito dopo la vittoria al Premio Campiello con La tregua, dichiara: “Io sono diviso in due metà, sono un tecnico, un chimico. Un’altra invece, totalmente distaccata dalla prima, è quella nella quale scrivo, rispondo alle interviste, lavoro su esperienze passate. Sono due mezzi cervelli. Una spaccatura paranoica”. Che quello della scissione in due sia un tema che ritorna spesso nella sua opera, in particolare nei racconti, è evidente.
Ci sono personaggi che vivono due condizioni contemporaneamente, come Tiresia, trasformato in donna, dopo essere stato uomo, citato nel racconto in Trattamento di quiescenza, e nel romanzo La chiave a stella; poi nelle varie novelle del signor Simpson in Storie naturali. Lo stesso tema del doppio è ben presente nella narrativa di Levi, forse come proiezione della sua dualità; c’è persino un personaggio, Gilberto, che arriva a duplicare la moglie e poi anche se stesso (Alcune applicazioni del Mimete). Immagino che tutto questo Jillian Edelstein non lo sapesse guardando Levi mentre lo fissava con l’obiettivo della sua macchina fotografica quel giorno del 1986. Ha visto solo ombre e un viso diviso in due. Cosa importa? Le foto parlano sempre di più di quello che il fotografo vede mentre scatta.

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